Io non ho mai avuto il fiuto per gli affari. Si sa che per avere fiuto negli affari devi fiutare soprattutto il tempo opportuno per intervenire, acquistare o vendere un’azione, se solo sbagli il tempo di intervento può svanire l’affare, se sbagli anche di qualche minuto quella certa azione potresti comprarla ad un presso altissimo, oppure venderla ad un prezzo inferiore all’acquisto.
Questo sembrava l’anno giusto per gestire un teatro.
A Milano poi!
Mi sembrava di avere fiutato qualche cosa di molto interessante, e lo stesso profumo inebriante lo hanno percepito anche i miei amici Doninelli e Allevi.
Abbiamo firmato il contratto di affitto del Teatro Oscar ai primi di ottobre, praticamente quando un certo virus si stava accasando nelle prime vie aeree di qualche cinese.
Quando si dice il tempo!
L’avvio è stato entusiasmante, prima della pausa natalizia avevamo già avuto diverse serate di tutto esaurito, praticamente nello stesso periodo che gli ospedali di Wuhan facevano sold out.
Ai primi di febbraio stavamo già programmando la prossima stagione, quella del 2021, per la prima volta nella nostra vita dovevamo occuparci di un business plan e lo abbiamo fatto praticamente quando quel virus cominciava a essere affascinato dell’apparato respiratorio dei lombardi.
A fine febbraio il Teatro Oscar è stato chiuso, assieme a tutti i teatri del nostro Paese, la stessa sorte che hanno subìto i teatri di mezza Europa e di mezzo mondo.
Praticamente quando il virus si è messo a recitare il suo monologo.
Ora, dopo 2 mesi, ci stiamo consultando via Skype per valutare se si potrà riaprire il teatro a giugno, a settembre, a ottobre, a novembre, a dicembre...
Neanche a dicembre?!?
Quel fiuto ci ha fatto fare un pessimo affare. Come del resto, in questo 2020, hanno fatto pessimi affari i ristoranti, i bar, i bagni sulla spiaggia, gli alberghi, le librerie, i negozi di abbigliamento, e tante altre attività.
E se avessimo avuto l’olfatto alterato proprio a causa del virus? Vallo a sapere.
Sembrava l’anno giusto, a Milano poi!
Chissà se anche il virus ha avuto la sensazione che questo era l’anno buono...
Altro che un teatro, avremmo dovuto aprire una piattaforma per meeting online, pensa che affari in questo anno.
Avremmo dovuto comprare le azioni di Amazon al tempo giusto.
Avremmo dovuto farci venire un’idea come Netflix. A suo tempo.
La seconda cosa che avremmo voluto fare, se non avessimo trovato un teatro in questo 2020, era quella di creare una rivista. Cartacea.
Con il nostro fiuto, se ci assumono alla Lehman Brothers la facciamo fallire un’altra volta!
A questo punto verrebbe da dire amaramente che il teatro non si è rivelato un affare.
Ma se al primo impatto il fiuto si è rivelato sbagliato, in fondo al naso abbiamo percepito un’altra fragranza, un’altra nuance, abbiamo percepito il profumo della necessità.
Il teatro è necessario.
Necessario come una birretta davanti a un tramonto d’estate da bersi con la fidanzata, o con gli amici dopo una partita di calcetto.
È necessario come il divano dopo una giornata passata a imbiancare la cucina, o come lo sguardo benevolo di un amico appena gli hai raccontato che hai combinato una cavolata.
Il teatro è necessario perché sentire raccontare storie per noi uomini e donne è come respirare.
Il teatro è necessario perché tutti sappiamo che ogni giorno, ogni istante dentro la nostra testa si affollano svariati personaggi che recitano lo stesso copione da anni.
Proprio per questo abbiamo bisogno del teatro, per dimostraci che non siamo pazzi, che tutti abbiamo nella testa quei personaggi, e che a volte può capitare che alcuni di loro li vediamo rappresentati da Pirandello o Shakespeare lì, su un palcoscenico, magari di qualche teatro milanese.
Il teatro è necessario perché ci fa incantare, perché è un gioco meraviglioso, il teatro è necessario perché tutti abbiamo desiderato di salire su quel palco almeno una volta nella vita: perché tutti vorremmo giocare a quel gioco serissimo e lievissimo che è il teatro. Perché, forse, più che gli affari a tutti quanti noi interessa il gioco.
Perché il gioco è necessario.
Perché noi siamo convinti che la vita sia un gioco bellissimo.