Questo Sabato in cui cessa il fremito del tempo è il giorno dopo l’ultimo di Gesù Nazareno. Un solenne silenzio ferma l’aria intorno alla Città. Il suo respiro è sospeso sia per chi dorme, sia per chi veglia. Il silenzio dell’innocente è ingannevole sollievo per chi l’ha voluto sopprimere; sogno da soprassalto per chi non ha reagito in tempo, querela e supplica per chi lo rivendica vivo. Insopportabili persino ai carnefici sono, spesso, i latrati dei condannati, così come i corrotti vagiti dei morenti per forza, le urla disumane che escono dalla violenza della tortura e della menzogna, dalla vergogna dei corpi in croce. Quando tutto, finalmente, tace, l’innocenza asfissiata regala la pace vuota della fine. Sulle eretiche colline del mondo, nei suoi fossati di malvagità, il silenzio leva il coro della resa.
Nella coscienza laica dell’uomo occidentale tutto finisce, ormai, con la morte. Pochi pensano ancora a una vita che verrebbe dopo. L’ultimo giorno combacia con l’ultimo battito del cuore con cui si va a estinguere ogni residua attività vitale. Pur se in un angolo di storia lontano, anche nel caso della morte di Gesù fu più o meno così. La folla che lo volle sospeso sul Golgota, si era dileguata, il giorno dopo, convinta di aver liberato la città da un malfattore; le autorità che avevano deciso la condanna a morte, oggi cercavano di persuadere sé stesse di diritto e giustizia. Anche i Dodici erano pronti ad accettare che tutto fosse finito con quell’ultimo grido d’abbandono che essi, del resto, non avevano nemmeno voluto sentire. Il giorno dopo la sua morte pochi dovevano pensare a Gesù come se fosse ancora vivo. Alcune donne, sì, quelle che non riuscivano a spegnere il legame con lui. Era quel cordone d’amore che le stringeva alle Sue braccia, al Suo Volto, che non voleva saperne di spezzarsi. L’eternità nasce dalla resistenza che le persone amate radicano nel nostro cuore.
Dentro il silenzio del Sabato era avvolto il lutto delle madri, delle sorelle, delle spose. Come dice Haydée ne Il conte di Montecristo: «Vi sono due sguardi: lo sguardo del corpo e quello dell’anima. Lo sguardo del corpo può qualche volta dimenticare, ma quello dell’anima non dimentica mai». E proprio in virtù di quell’impossibile smemoratezza, lo strazio del lutto, i capelli scarmigliati, la cenere sul capo, si trasformano in una strana potenza, un’ipotesi di ritorno, una ferita che - come direbbe don Tonino Bello - diventa feritoia. Il sabato diventa un tempo sospeso, un’idea di passaggio, l’intuito di una trasformazione. La culla per una nuova creazione. Sotto la coltre dell’afonia, nel deserto del rigore, si cela il fuoco della più fervente attività: l’aurora di domani.
La prima goccia a sciogliere il gelo sarà fatta di lacrime: quelle che Gesù stesso aveva versato sul corpo cadavere di Lazzaro e che ora si mescolano con quelle del pianto di Maria per essere fonte che «zampilla per la vita eterna». Il silenzio si fa vivace di attesa; la speranza è lievito per la terra che aspira a rigenerarsi in un nuovo mattino. Un mistero che tocca la nostra civiltà che non si è arresa dinanzi alla morte e che coltiva, in un sabato laico, tutte le scienze, volgendole ad aprire un tempo, ancora, per un corpo altro e per un’umanità diversa da quella mortale. E ancor più solerte è il silenzio del cristiano, carico di Sapienza, dedito a costruire una creatura capace di comunione, una qualità nuova all’umano, nel tempo che verrà.
Essa si nutre del Corpo consegnato che oggi la terra abbraccia, nel suo seno di madre. Se ne fa membra, se ne fa mistero. Respira quella Sua innocenza per restituire il Silenzio dell’inizio, placenta di perdono, matrice di riconciliazione, carne integra e liberata dal male. «Nei momenti bui bisogna avere il coraggio di tacere. Senza rancore. E il demonio si scoprirà ». Viviamo questo invito del nostro caro Padre, papa Francesco, in modo che domattina possiamo correre ancora a godere del mondo, alle prime luci dell’alba.