«Dobbiamo stare attenti alle nuove colonizzazioni ideologiche che subentrano nel pensiero umano, anche cristiano, sotto forma di virtù, di modernità, di atteggiamenti nuovi, ma sono colonizzazioni, cioè tolgono la libertà, e sono ideologiche, cioè hanno paura della realtà così come Dio l’ha creata», ha detto, con rara intensità, papa Francesco in un discorso tenuto recentemente all’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita. Il pontefice ci parla non solo della sacralità della vita, ma della necessità di metterci in ascolto del divino. Eppure, in tempi di incertezza, la strada maestra che ci guiderebbe fuori da un mondo 'colonizzato' dalla furia divoratrice dell’homo faber, è poco percorsa. Rari, nelle comunità scientifica, politica, filosofica e artistica, i riferimenti al sacro. Il sacro, in quanto non «utile», si vorrebbe esiliarlo nella sfera privata dell’individuo.
E cosa sarebbe l’«utile» a cui certo pensiero laico si appella ossessivamente? Non solo la legittima soddisfazione delle aspirazioni dell’uomo, benessere, salute, sicurezza, ma l’appagamento di ogni desiderio di un ego sempre più gonfiato e centrato su sé stesso: potere, soldi, vanità, successo, performance, like... Nella dura modernità di cui ci parla il Papa domina, in una corsa frenetica all’autorealizzazione, un solo tempo, quello che va dall’elaborazione di un progetto alla sua realizzazione. Il sacro, che implica un tempo diverso, quello dello spirito e del contatto col divino, è considerato divagazione non solo inutile, ma anche pericolosa. Come diceva Guido Ceronetti, il suo contatto, dal momento che ci costringe a confrontarci con potenze che non possiamo dominare e ci mette davanti alla nostra infinita precarietà, fa paura.
Eppure, il sacro – esiliato, taciuto, censurato – rimane al centro della vita. Davanti ai grandi appuntamenti: nascita, amore, perdita, malattia e morte, quando quanto ci sta accadendo è fuori dal nostro controllo, è al sacro che ci rivolgiamo. Entriamo cioè, coscienti o meno, in una dimensione extraumana, che è quella del divino a cui papa Francesco, son il suo stile diretto e immediato, ci richiama. Dimensione, come sa chi ha dimestichezza con la pratica spirituale, che alleggerisce il cuore, solleva dal peso dell’ego, allarga infinitamente la prospettiva del vivere e dunque, in definitiva, rende migliori. Il bene è la fonte del sacro. Secondo Arthur Schopenhauer «nessun animale si stupisce di esistere, eccetto l’uomo». Lo stupore nasce da un interrogativo a cui non possiamo dare risposta, il mistero della vita ci riporta alla origine divina.
Ed è qui che la riflessione del pontefice si fa urgente. «Ogni forma di vita, in quanto è vita, è sacra e questo deve bastare», scrisse Albert Schweitzer. Purtroppo, venendo meno la dimensione spirituale e trascendentale, soppiantate dal culto dell’immanenza, con i suoi idoli ossessivi, è proprio questa sacralità della vita che non ha più ragione di essere rispettata. In una corsa inarrestabile, l’attuale globalizzazione divora il pianeta, inquina, livella ogni cultura locale, asservisce i più deboli e chi non ha la forza di opporsi, cancella migliaia di specie di animali e piante non direttamente utili all’interesse economico e infine, senza pentimenti, riscalda il pianeta. Ripudiata la percezione del Sacro e cadute le grandi ideologie otto e novecentesche, la società umana si è inoltrata nell’arcipelago di un utilitarismo cieco, bulimico e, in definitiva, autodistruttivo. Viene in mente la Torre di Babele. Quale metafora più perfetta per descrivere il mondo in cui stiamo vivendo. Ecco dove siamo oggi. Ed è ora, e i messaggi accorati del Papa ce lo ricordano, di prendere un’altra strada.