Ma qual è, in fondo, il vero scandalo? Su quale pietra inciampa veramente l’uomo che cerca di andare per il mondo sentendo al suo fianco la presenza di Dio? Martedì sera, mentre attorno al Teatro Franco Parenti si celebravano riti di riparazione per la messa in scena del discusso spettacolo
Sul concetto del Volto nel Figlio di Dio, a pochi chilometri di distanza, in una parrocchia alla periferia di Milano, un gruppo di fedeli recitava il Rosario per la guarigione di una giovane madre, malata di tumore. Stessi gesti, stesse parole, grosso modo lo stesso numero di persone impegnate a pregare in una sera d’inverno. E qui ci fermiamo, perché non si tratta di distribuire torti e ragioni. Anzi, uno dei tratti distintivi del credente dovrebbe essere la consapevolezza che il giudizio è prerogativa anzitutto divina, specie quando si affrontano questioni che riguardano l’intenzione e la profondità delle coscienze.Quella che conta, al contrario, è la domanda iniziale: qual è, agli occhi dell’uomo, il vero scandalo? Il dolore dell’innocente (perché questo ha di straordinario, il dolore: restituisce innocenza a chi patisce) oppure il gesto artistico che tenta, in modo sempre imperfetto e talvolta persino fallimentare, di rappresentare quello stesso dolore? La sofferenza è un abisso che non si illumina mai del tutto, come testimoniano molte pagine della Scrittura, dall’invettiva di Qoelet fino al grido di Gesù che, sulla croce, sembra addirittura lamentare l’abbandono da parte del Padre. Anche un gigante come Dostoevskij, quando si inoltra in quella tenebra, impugna un lumicino pericolante e lascia, da ultimo, che siano le ombre ad avere la meglio, salvo far trapelare – magari da una delle tante porte sconnesse che si incontrano nell’
Idiota o in
Delitto e castigo – un filo di luce che richiami l’estrema possibilità della speranza. Diciamolo con parole più semplici: è l’esperienza del dolore che, nella maggior parte dei casi, induce l’uomo alla bestemmia. La piaga, non la sua rappresentazione. Il male che tocca la carne, secondo la sfida che Satana lancia al Signore nella vicenda misteriosa di Giobbe, è il vero male, al quale letteratura e pittura, poesia e teatro, cinema e fotografia riescono tutt’al più ad alludere. È un centro terribile e vitale, che non può essere disgiunto dalla bellezza stessa dell’umanità. È, in definitiva, il carico che Cristo ha assunto su di sé nell’Incarnazione, per innalzarlo poi sul Golgota nella Passione. Si crede o non si crede al cospetto di questo che è lo scandalo autentico e che appartiene – sia pure in modi e per occasioni differenti – alla storia di ciascuno. L’arte, anche in questo, fa quello che può e agisce, semmai, come strumento di riconoscimento e di autocomprensione: un’opera mi convince oppure mi irrita tanto quanto riesce a ripetere in me qualcosa di quello che ho conosciuto. Non si tratta di scegliere tra i due Rosari, dunque, né di contrapporli l’uno all’altro. Si prega nella convinzione che tutte le preghiere salgano al Cielo allo stesso modo e ci si affida a Maria perché, nella sua maternità, saprà lei come amministrare il potere di intercessione. Ma se un miracolo ci dev’essere, noi tutti vorremmo che fosse per la vita dell’uomo, nel quale Dio stesso manifesta la propria gloria, in un Volto il cui splendore nulla, su questa terra, ha la forza di scalfire.