Il risultato del referendum costituzionale ha aperto la crisi dell’esecutivo, con esiti per ora incerti. Ma i toni della campagna referendaria hanno immesso delle tossine disgregatrici che sarà bene, per gli italiani, smaltire al più presto. I due campi contrapposti non hanno infatti alimentato soltanto appassionati dibattiti e nobili confronti, ma hanno mostrato atteggiamenti gravi nei riguardi degli avversari: Renzi ha peccato di arroganza, i suoi critici di disprezzo. Con un disegno di grande ambizione, simile a quello di De Gaulle nel 195859, Renzi ha agganciato una riforma costituzionale non di piccola portata con un progetto politico di rottamazione di un’intera classe politica, per dare al Paese una stabilità per lo meno decennale, forgiata e fondata su di lui: una vera Seconda Repubblica (o Repubblica 2.0). Tale disegno para-gollista (che non significa antidemocratico) è stato evidente non tanto nella personalizzazione, che ne è l’inevitabile conseguenza, ma nell’aver rifiutato di 'spacchettare' i quesiti: ciò che avrebbe consentito di stemperare i contrasti e di portare sicuramente a casa qualcosa, scomponendo peraltro le diverse opposizioni. Ma così non sarebbe emerso l’Unico.
Da qui l’arroganza renziana, rivolta contro tutto il ceto politico avversario: non a caso definito «accozzaglia». Il fronte del No, peraltro, quasi per riflesso speculare, concentrandosi nell’avversione verso l’Unico, ha avuto atteggiamenti di vero disprezzo per l’elettorato che votava la proposta renziana di revisione costituzionale, inteso come opportunista per biechi interessi personali, negando totalmente le preoccupazioni disinteressate - che pure c’erano - per un possibile montante trumpismo italiano. Fino a punte veramente esagerate, ben espresse dal pur solitamente mite Crozza: gli elettori si dividono tra quelli che hanno capito e quelli che votano Sì.
L’esito referendario ha bocciato la revisione costituzionale in tutti i suoi aspetti e ha distrutto l’ipotesi para-gollista (o, più in piccolo, neo-fanfaniana) di Renzi. Ma non è detto che Renzi dismetta la sua arroganza, per 'stare sereno'. E toni di disprezzo continuano ancora nel fronte vincitore. Poiché la situazione del Paese è di malessere e di difficoltà diffuse, servirebbe una maggiore unità solidale tra gli italiani. È utopia sperarlo? C’è qualche margine di possibilità? Ci sono risorse umane disponibili e valori credibili a cui fare appello? A me pare necessario o comunque auspicabile che i molti non renziani che hanno votato Sì (da Prodi a Pisapia a Gad Lerner agli elettori che hanno votato Sì tanto nel referendum sulle trivelle quanto in questo) come pure le voci moderate e di profilo istituzionale che hanno votato No (penso a personaggi come Onida o come i tanti 'cattolici del No' di diverso orientamento politico) come pure i molti esponenti delle istituzioni e della cultura, che non si sono schierati e non hanno firmato appelli pur dicendo nelle urne la loro da cittadini, prendano la parola nei diversi contesti pubblici e civili per richiamare ad una ragionevole riconciliazione in vista del bene comune. Le risorse umane, dunque, ci sarebbero.
E i valori? Ma abbiamo appena rafforzato plebiscitariamente l’adesione alla Costituzione del 1948! Lo stesso Sì, largamente sconfitto, ma non condannato all’irrilevanza politica dall’esito del voto, non metteva comunque in questione i princìpi fondamentali della Costituzione. Ecco allora che questo è il momento per far emergere, al di sopra della politica e dei partiti, un vero patriottismo costituzionale popolare che imponga a tutti i politici i valori che – con l’alta partecipazione al voto – il popolo italiano ha voluto non conservare, ma ribadire oggi: ha voluto cioè riaffermarne l’attualità orientatrice nel nostro contesto di difficoltà e di problemi. Questo patriottismo, nel nome del quale chiamare a raccolta gli italiani, dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3).
Questo patriottismo, nel nome del quale chiamare a raccolta gli italiani, dice che la Repubblica promuove le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro di tutti i cittadini (art. 4), che il lavoratore ha diritto a una retribuzione in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36), che la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi (art. 31). Questo patriottismo serve all’Italia: non l’arroganza e il disprezzo.