Caro direttore,
sono consapevole che alcune 'emergenze' della cronaca ecclesiale ed ecclesiastica, di cui anche 'Avvenire' sta dando puntualmente conto, non possono non attirare l’attenzione, specialmente quando coinvolgono vaste parti d’umanità (e non solo di Chiesa): Germania, Stati Uniti, mondo occidentale 'cristiano' in genere, dialogo con la Cina… E tuttavia. Mi è rimasto un peso sul cuore dopo aver letto la riflessione di Alberto Melloni «Il giugno nero della Chiesa» (apparso su 'la Repubblica' il 15 giugno 2021). Un peso sul cuore del credente, quale umilmente mi professo, ma anche sul cuore dell’uomo che sono. E dunque non posso tacere, da entrambi i punti di vista (che poi per me sono uno).
Un giorno (e che giorno!) tra Gesù e i suoi si svolse il dialogo che segue (dal vangelo di Luca, 22,35-38). «Poi disse loro: 'Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?'. Risposero: 'Nulla'. Ed egli soggiunse: Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: E fu annoverato tra gli empi. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento. Ed essi dissero: 'Signore, ecco qui due spade'. Ma egli disse: 'Basta!'». Fine. Discorso troncato.
Non era «il giugno nero della Chiesa» (o di qualunque altro mese dell’anno si trattasse): era la sera della cosiddetta 'ultima cena'. Gesù si preparava ad andare a morire, incompreso, tradito, rinnegato, accusato da tutti.
Sì, perché aveva fatto un gran pasticcio: dopo (si pensa) tre anni circa di missione pubblica aveva suscitato tante speranze, dato molto scandalo, fatto del bene innegabile, illuminato percorsi, messo in moto 'processi'… e quasi tutti non ci avevano capito niente.
Orribile sarebbe, che anche noi (anche noi!) ci mettessimo a giudicare il Cristo di turno… non dalle condizioni in cui si è trovato e si trova a operare, ma da un qualche (qualsiasi) schema dei risultati attesi. Infatti: non era Gesù a essere 'confuso', il mondo, lo era, e lo è: e lui era nel mondo per non perderne nemmeno un frammento, anche a costo della propria vita (figuriamoci della propria credibilità).
Una magica sera, molti anni fa, ero al monastero di Camaldoli e ascoltavo, insieme ad altri giovani, padre Benedetto Calati, allora priore di quella comunità. Ci incantò, anche grazie al suo garbo e alla sua visibile gioia evangelica, narrandoci con cuore aperto di uno scambio epistolare tra papa Gregorio Magno e Agostino, il monaco che nel 596 il Papa stesso aveva incaricato di andare a evangelizzare la Britannia. Agostino, poi primo vescovo di Canterbury, aveva dovuto vincere la sua paura (e diciamocelo, il ribrezzo) per la violenza e rozzezza dei Sassoni… ma alla fine i risultati dell’azione missionaria sua e dei suoi compagni si erano visti. Ora i Sassoni si facevano battezzare a migliaia… e cominciarono i problemi.
Agostino scrisse al papa, chiedendo chiare indicazioni su come comportarsi rispetto a molti aspetti della cultura 'pagana' dei nuovi cristiani. Che fare? Cosa tollerare? Cosa imporre con la minaccia dell’inferno? Il Papa rispose (cito il racconto di padre Benedetto): 'Vedi tu. Sei tu sul posto. Li vedi tu, in faccia, questi famosi Sassoni, battezzati e non ancora battezzati. Vedi tu cosa ti dice lo Spirito'.
Non era 'il giugno nero' del pontificato di Gregorio Magno. Era la stagione della straordinaria diffusione del cristianesimo in tutte le valli e lungo tutte le coste d’Europa. Non era Agostino a essere confuso, né il Papa sprovveduto a non dargli indicazioni chiare: erano i Sassoni a essere un popolo fatto di uomini e donne concreti, perciò complicati, anche in quanto credenti. Come può sfuggire la sottile posta in gioco di un Papa che, come il Cristo, si mette in gioco ogni giorno per non perdere neanche un frammento di umanità?