Il nodo non è quel brano ma il sospetto sul femminino
mercoledì 5 febbraio 2020

La canzone dal testo agghiacciante che compare nel curriculum musicale di un rapper che esibisce stasera al Festival di Sanremo può essere l’occasione per una riflessione più ampia su come la donna viene rappresentata e raccontata dall’industria della comunicazione di massa. Certamente non per sminuire la vicenda sanremese in sé – probabilmente una brutta operazione promozionale e commerciale da condannare – quanto per mantenere uno sguardo ampio sul tema. I videoclip, i film, le serie televisive, i testi delle canzoni, i videogiochi per non parlare degli 'infiniti mondi' di internet trasudano da molti anni un’immagine della donna apparentemente esaltata, in realtà strumentalizzata e oggettificata che riconduce sostanzialmente le donne alla loro sensualità e sessualità, funzione e proiezione di un immaginario maschile, e non solo.

Questa strumentalizzazione ha conosciuto nell’ultima stagione del berlusconismo al governo un’acuzie particolarmente pervicace, tanto da suscitare vivaci reazioni trasversali del mondo femminile e da produrre durante il governo Monti, su pressione della società civile, un tentativo di promuovere un Codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione della donna nei media, basato anche su una approfondita ricerca condotta per l’Unione Europea.

Fu stilata con molte fatiche la bozza di Codice, ma il progetto si arenò per l’opposizione della televisione commerciale a fronte, invece, di una disponibilità ad aderire a una seria e condivisa autoregolamentazione espressa dal servizio pubblico radiotelevisivo. Perché è utile ricordare questa vicenda istituzionale? Perché il dibattito che in questi giorni si è prodotto intorno al rapper sanremese e ai suoi trascorsi musicali si è dimostrato per lo più asfittico, oscillante tra permissivismo totale in nome dell’Arte (sic!) e richiesta indignata di gogna, 'ignorante' – in senso latino – di gran parte della strada tentata.

Da quei tempi, purtroppo, tutto è peggiorato: perché ormai una generazione (anche due) di uomini e di donne si è formata con i contenuti mediatici di cui sopra e quindi condivide una visione della donna parziale e limitante, totalmente identificata con la sua apparenza estetica. A rendere più complesse le cose contribuisce il fatto che l’industria della comunicazione, sempre a caccia di nuovi traguardi emozionali, ha dato da tempo largo spazio al binomio sessomorte: film horror on demand, videogiochi, siti internet facilmente accessibili sperimentano da anni tutte le declinazioni di tale binomio con le donne per lo più nella parte delle vittime di varie atrocità.

Il Comitato governativo Media e Minori ha tentato di frenare quest’onda cupa e pericolosa per la cultura collettiva, ma senza successo. Il fatto è che una cultura della morte crescente (e per analizzarne la genesi ci vorrebbe ben altro spazio) si è innestata con una retrocessione antropologica sostanziale e immemore da parte delle donne e questo proprio in presenza di una crescita di più numerose donne eccellenti che sono riuscite, con la loro competenza, esperienza, preparazione a sfondare il famoso 'tetto di cristallo'. Un esempio per tutte, nel nostro Paese, la recente nomina di una donna di valore come Marta Cartabia a presidente della Corte costituzionale. La cultura collettiva non ha maturato però nella sua generalità ammirazione e riconoscimento per le donne che hanno raggiunto nella loro professione i più alti vertici.

Continua a serpeggiare un antico, quasi tribale sospetto verso il femminino; un’insofferenza nei confronti di una diversità – forse la Diversità primaria – che si è ulteriormente rafforzata, complici i rigurgiti di una subcultura che credevamo superata da tempo per la quale un machismo violento afferma con l’aggressività la sua supremazia e il suo controllo sulla donna. Questa melassa avvelenata si traduce – certo a livello mediatico, ma purtroppo non solo – nella spettacolarizzazione della 'punizione' della donna. Grazie al Cielo, la società possiede anticorpi: e sono nella freschezza dei giovani, nell’eterna saggezza del messaggio cristiano, nel pensiero consapevole e variamente ispirato di uomini e donne che possano riprendere il testimone di iniziative istituzionali intelligenti. Bisogna sperare e lavorare, rimanendo vigili.

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