E allora eccoci, per tirare le fila di questi giorni pasquali. Tutto è cominciato da un carcere minorile alla periferia romana, nella sera della Messa a memoria dell’Ultima Cena. Una fila di ragazzi e di scarpe da ginnastica, il Papa anziano, claudicante, che è voluto essere lì, e a fatica si è chinato a baciare i piedi di quei giovanissimi usciti dalle scarpe di chi è uscito di strada. Sono i piedi del mondo. I nostri piedi. E quei ragazzi lo hanno guardato in silenzio mentre si piegava su di loro col suo vestito bianco, lui, un capo, anche lui uscito da poco da un ospedale, ma indomabile, instancabile per dire al mondo che è bello essere padre e generare al mondo, e per dire alla Chiesa intera che questo è il suo destino, che questa è la grandezza del suo cammino nel mondo: il servizio, quello di Cristo stesso. E non è questione di altro.
Perché questa è la fede, la vittoria di Pasqua: la Risurrezione di Cristo che è entrato morto nel sepolcro e ne è uscito vivo. Senza questo, niente avrebbe senso. «È brutta la morte eh...!» aveva detto scherzosamente papa Francesco ai giornalisti uscendo addirittura dalla macchina per andare a salutarli appena girato l’angolo del Gemelli dove era stato ricoverato. E in questa Pasqua il Successore di Pietro ha voluto così portarci per mano con tutta la sua debolezza e la sua forza indomita sulla strada di una vita risorta. Con i suoi gesti e le sue parole si è fatto testimone della fede indicando la strada, sul filo della stessa fede.
Perché è solo nella fede che vanno lette le tappe di questi giorni. La prima di cui ha dato testimonianza è, appunto, il servizio: perché la fede è servizio.
Come ha detto Francesco, pescando nel Vangelo: «“Io sono venuto per salvare voi, per servire voi”, e ci ha insegnato: aiutarsi gli uni gli altri». Nella veglia di Pasqua è quindi andato dritto al cuore della fede e ha invitato a «ritornare alle origini», di tornare in Galilea, perché proprio in Galilea tutto era iniziato.
La fede è ritorno in Galilea: «Lì il Signore aveva incontrato e chiamato per la prima volta i discepoli. Dunque andare in Galilea è tornare alla grazia originaria, è riacquistare la memoria che rigenera la speranza, la “memoria del futuro” con la quale siamo stati segnati dal Risorto».
Per risorgere, per ricominciare, per riprendere il cammino, ognuno ha perciò «sempre bisogno di ritornare in Galilea, cioè di riandare non a un Gesù astratto, ideale, ma alla memoria viva, concreta e palpitante del nostro primo incontro con Lui». Questo è stato l’invito rivolto dal Successore di Pietro ai fedeli nella notte sconfitta dalla luce: «Torniamo in Galilea, e risorgiamo a vita nuova! ». E all’Angelus di ieri ha ricordato ancora le donne del Vangelo che per prime sono uscite dai loro timori e dalla loro angoscia, che «è la via per trovare il Risorto».
La fede, poi, è pace. E di voci di pace ha voluto fossero intessute le tappe della Via Crucis del Venerdì Santo dentro un mondo in guerra. Lo sguardo del Papa si muove sempre dentro i grandi orizzonti della storia e dei princìpi di fraternità, in una visione che incoraggia a fare il bene e a impegnarsi per la pace, a partire dalla convinzione che il bene proprio si realizza nel modo migliore e duraturo dentro il bene comune, nel servire gli altri, specie se deboli e poveri, contrastando l’egoismo e la sete di denaro, mostrando al mondo che una via di scampo è possibile – e obbligata – per uscire dalla spirale dell’auto-annientamento.
Nel «celebrare, per pura grazia, il giorno più importante e bello della storia», «speranza del mondo», domenica Francesco ha supplicato di superare i conflitti che insanguinano il mondo, affidando al Risorto ogni Paese e popolo travolti da guerre e violenza.
Ed è stato significativo che accanto a lui sul balcone di San Pietro abbia voluto il 94enne cardinale albanese Ernest Simoni che nel suo lungo viaggio ha attraversato gli odi, le guerre e le torture di un secolo, e sopravvivendo alla violenza ha dato testimonianza della fede. Francesco ci ha così riconsegnato in questa Pasqua la magna carta della pace, che non è solo sintesi del suo magistero e degli orientamenti perseguiti costantemente dall’azione diplomatica della Santa Sede sulla scacchiera internazionale: è l’instancabile servizio inscritto nel ministero del Successore di Pietro sul modello stesso di Cristo. Perché Cristo Risorto è il Principe della pace.