Il governo e le molte occasioni da cogliere
sabato 31 agosto 2024

Coniugare la contingenza degli interventi necessari con la lungimiranza delle riforme strutturali. La sfida è la stessa per qualsiasi esecutivo in un Paese in deficit di bilancio, ma è ancora più complessa e inevitabile per il Governo di Giorgia Meloni. Sostenuto da una maggioranza che ha i numeri per durare l’intera legislatura e ne coltiva l’ambizione. Ma, al tempo stesso, soggetto alle spinte centrifughe delle sue diverse componenti, all’esigenza di ogni partito di “marcare” l’azione politica secondo differenti obiettivi.

Il primo Consiglio dei ministri alla ripresa dell’attività, giovedì, ha dato un assaggio delle difficoltà da affrontare. Sul difficile fronte internazionale, certo, ma soprattutto su quello interno tra conti da riportare in ordine - secondo le nuove regole europee del Patto di stabilità, con una programmazione che da 4 può essere allungata sino a 7 anni - “tesoretti” più fantomatici che reali, una crescita economica discreta ma non entusiasmante.

Il tutto in un quadro strutturale in cui dominano il macigno del debito pubblico – tremila miliardi di euro, con una spesa per interessi pari al costo dell’istruzione – una devastante denatalità che condizionerà il mercato del lavoro e una crisi nei rapporti intergenerazionali su lavoro, previdenza e disponibilità/costo delle abitazioni.

Il sentiero è dunque strettissimo, non permette deviazioni significative dalla riduzione del debito, così come imposto dalla Ue con la procedura per deficit eccessivo, ma proprio per questo offre l’occasione per affiancare al risanamento dei conti in un tempo meno ristretto investimenti e riforme strutturali che permettano di incrementare la crescita economica e creare migliori condizioni per le future generazioni. Questo dunque potrebbe, o meglio dovrebbe, essere il filo conduttore della manovra prossima ventura e dell’azione politica del Governo Meloni.

Per questo è lecito augurarsi che, pur in coerenza con l’impostazione programmatica, si migliorino l’azione di Governo e il cantiere delle riforme laddove è possibile e necessario. Aprendosi al confronto con le opposizioni e la società civile per allargare le alleanze sociali e il sostegno al cambiamento. Evitando di arroccarsi o, peggio, di sfasciare conti e Paese pur di piantare bandierine buone solo per una campagna elettorale anticipata. Seguendo invece come stella polare il futuro dei giovani. Così, ad esempio, più che insistere per una riduzione generalizzata dell’età pensionabile – che caricherebbe ulteriore debito sulle generazioni a venire – meglio trovare forme di co-finanziamento con le imprese per le situazioni di crisi o per il ritiro anticipato nelle occupazioni più gravose.

Ancora, lasciare definitivamente nel cassetto le ipotesi di Flat tax che aggraverebbero iniquità e diseguaglianze, continuando invece ad alleggerire il peso fiscale oggi concentrato sul ceto medio-basso e introdurre finalmente quel “quoziente familiare” più volte promesso e necessario a garantire l’equità orizzontale tra chi ha carichi di famiglia e chi no. In questo senso, bene ha fatto il Governo a smentire l’ipotesi di un taglio dell’Assegno unico per i figli che ne avrebbe cancellato il carattere universale.

Un danno per le famiglie ma, peggio ancora, la sconfessione del riconoscimento dei figli come bene pubblico e delle politiche pro-natalità. Infine, migliorare le prospettive occupazionali dei giovani insistendo nella lotta al “nero”, allo sfruttamento con i falsi stage e gli stipendi da fame, a politiche sociali per gli affitti alle giovani coppie. È in questo contesto che va inserito anche il dibattito su uno Ius scholae o Ius culturae possibile e utile, con il quale il Governo potrebbe cogliere l’occasione anzitutto per dimostrare che la gestione dell’immigrazione non è solo fatta di ostacoli ai salvataggi in mare, Cpr e deportazioni in Albania, quanto soprattutto della valorizzazione dell’apporto di chi è cittadino da tempo senza esserlo ufficialmente e dell’istruzione dell’obbligo come strumento primario (accanto alla famiglia) dell’educazione degli italiani. Altrimenti quando si parla di educazione civica e di Patria, di che parliamo se non di valori iscritti nella nostra Costituzione materiale e immateriale che la scuola contribuisce a innervare nella società e la politica deve essere capace di riconoscere e premiare?

Sul piano più strettamente politico-istituzionale, se il centrodestra intende – ed è legittimo - perseguire i propri progetti di premierato e autonomia differenziata, su questi deve necessariamente costruire un consenso che vada ben oltre i numeri della rappresentanza parlamentare e si radichi nel Paese. Due le strade da percorrere, più volte indicate nei mesi scorsi anche da quella stessa Conferenza episcopale oggi strumentalmente accusata di «fare politica per conto delle opposizioni».

La prima: aprirsi al confronto con chi – altrettanto legittimamente e con ragioni non campate per aria – teme da un lato la compromissione dell’equilibrio di pesi e contrappesi che caratterizza la nostra democrazia e, dall’altro, l’abbandono al loro destino di intere porzioni del Paese con lo spezzarsi della solidarietà interna, caratteristica prima delle nazioni. La seconda: valorizzare gli elementi di garanzia, se già presenti nei progetti di legge, o introdurne di nuovi che siano evidenti e rassicuranti.

L’alternativa al dialogo e al confronto è uno scontro politico-referendario che non solo dividerebbe il Paese, ma che il centrodestra nella situazione attuale rischierebbe di perdere anche malamente. Conviene? Sulle grandi riforme, tantopiù in un periodo di complicate manovre contingenti, un’intesa il più larga possibile, per quanto faticosa, è sempre preferibile a piccoli egoismi improduttivi o a prove di forza dagli esiti incerti.

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