Da 32 anni la giustizia - in realtà solo quella penale e solo quella che riguarda politici, amici di politici, parenti di politici - è terreno di scontro in Italia. Se ne sono viste tante, ma la novità dell’ultim’ora è l’inchiesta presunta. Anzi «verosimile», prendendo in prestito l’aggettivo che Giorgia Meloni ha utilizzato per descrivere l’operazione che sarebbe in corso nei confronti di sua sorella Arianna. Insomma, si presume che esista, o addirittura che non esista ancora ma che stia per essere avviata, un’indagine per traffico d’influenze (in assenza di fatti certi, c’è tuttavia un’ipotesi di reato) per via dell’influenza, appunto, che la sorella della presidente del Consiglio - la quale non è nel governo - avrebbe sulle nomine pubbliche. Influenza affermata da alcuni giornali, secondo cui Arianna partecipa a riunioni sulle nomine. Indagine data per imminente da un altro giornale, convinto che Meloni faccia rima con Berlusconi anche e soprattutto in alcuni palazzi di giustizia. A parte la novità “preventiva” di cui s’è detto, per cui se fosse un film di Hollywood sarebbe Ipotesi di complotto con una spruzzata di Minority report, tutto il resto ricalca lo schema consueto.
Uno schema che ormai cronisti e lettori conoscono a memoria: attacco, difesa, contrattacco, rissa verbale. Per sapere qualcosa di concreto, bisognerà aspettare la risposta dell’esecutivo all’interrogazione parlamentare di Italia viva (che di fatto ha acceso la miccia politica, facendo parlare a destra di una triangolazione tra giornalisti ostili, esponenti delle opposizioni e «procure») oppure, se mai ce ne saranno, sviluppi giudiziari.
Sia come sia, è possibile già ora fare una constatazione che esula dal merito della vicenda. Si sa che la giostra politica in agosto continua a girare spinta per lo più da dichiarazioni e interviste, da buoni propositi e da uscite estemporanee. Quest’anno, però, nella pausa estiva il dibattito si era incanalato finalmente su un tema che da troppo tempo aspetta di essere trattato seriamente, quello della cittadinanza ai “nuovi italiani”. Un tema che riguarda la vita quotidiana di centinaia di migliaia di bambini e di ragazzi che qui sono nati o sono cresciuti e che continuano, per la legge, a essere “stranieri”. Quella legge, l’abbiamo spiegato giusto tre giorni fa su queste colonne, è carica di anni (gli stessi anni, curiosamente, del conflitto politica-giustizia) ed è ormai superata dai fatti. Può, e deve, essere cambiata. Si è perciò aperto un filo di dialogo che, per una volta, travalica i confini tra maggioranza e opposizione, come è sano e giusto in una democrazia parlamentare.
Subito, però, il “caso Arianna” ha riportato l’attenzione nel labirinto in cui si affrontano pseudo-garantisti (sempre pronti al giudizio sommario nei confronti degli avversari) e pseudo-giustizialisti (sempre pronti a invocare ogni tipo di garanzia per gli amici).
Con il rischio di vedere per l’ennesima volta insabbiata, come un giocattolo dimenticato in spiaggia, l’opportunità di una buona riforma della cittadinanza. E anche di oscurare ancora l’altra “giustizia”, quella che dopo una condanna (e troppo spesso anche prima) trasforma in una inaccettabile pena accessoria la reclusione in carceri che non rispondono più, da un pezzo, al dettato costituzionale.