Ma l’innovazione non era di per sé progressista? Se la domanda vi sembra malposta (ed è volutamente malposta, ammettiamolo), è per via di quel “per sé”, locuzione della quale è sempre opportuno diffidare, perché tende ad aggirare, considerandola irrilevante, ogni forma di complessità. Peccato che la semplificazione a oltranza sia un lusso che da tempo non possiamo più permetterci, specie per quanto riguarda le implicazioni dell’innovazione. Che è e rimane un valore, sia chiaro, ma non per questo è un valore indiscutibile, come purtroppo ci siamo abituati a pensare da almeno venticinque anni: da quando, cioè, il fantasma del Millennium Bug si dissolse all’alba del 1° gennaio 2000.
I profeti della sventura informatica erano stati smentiti, i computer non si erano lasciati ingannare dal cambio di data, il mondo non era retrocesso di un secolo e insomma, per farla breve, l’innovazione aveva vinto. Da allora, nessuno se l’è più sentita di metterne in dubbio il primato. Sì, ogni tanto salta fuori qualche presunto luddista, qualche nostalgico dell’analogico, qualche cultore del bel tempo andato in una qualsiasi delle sue manifestazioni, dal profumo della carta al completo in gabardine, dai sapori dell’orto al fruscio del vinile. Passatisti immaginari, che diffondono le loro convinzioni via social e intanto tengono la conta dei follower, in tutto e per tutto identici a qualsiasi altro influencer. Basterebbe questo per dimostrare che l’innovazione ha stravinto e ormai dilaga ovunque, non c’è alternativa. Innovazione e progresso sono diventati sinonimi, o almeno così sembra.
Poi, per fortuna, arriva Elon Musk, l’innovatore per antonomasia, che rivendica per sé l’eredità del genio incompreso Nikola Tesla. Si comincia con le automobili elettriche e non si sa dove si va a finire. Forse su Marte, senz’altro alla Casa Bianca, dove Musk si appresta a dirigere una struttura appositamente pensata per lui dal neo-rieletto presidente Trump. Il Doge – l’acronimo rimanda più alla lotteria delle criptovalute che agli antichi fasti della Serenissima – è un dipartimento di nuova concezione, destinato a rafforzare l’efficienza dell’apparato governativo. Musk combatterà contro la burocrazia, e come dargli torto? Basta che, nella foga del repulisti, non vadano perduti i princìpi ai quali la burocrazia stessa dovrebbe ispirarsi. L’uguaglianza tra i cittadini, per dirne una. La trasparenza nell’applicazione delle regole, per aggiungerne un’altra.
Nel frattempo, per portarsi avanti, Musk ha ritenuto opportuno spiegare ai tedeschi come votare alle prossime elezioni, approfittando dell’occasione per lasciar intendere che, in fondo, il nazismo ha fatto anche cose buone. Tipo le autostrade, che ancora non correvano sottoterra come a un certo punto Musk aveva progettato di fare, ma vuoi mettere la comodità? Non è innovazione, questa? L’Autobahn non è, “di per sé”, una manifestazione di efficienza? Va bene, andiamoci piano con l’ironia, anche perché il dibattito si sta sempre più polarizzando (non potrebbe essere altrimenti, visto che siamo nel XXI secolo e le sfumature non vanno più di moda, figurarsi i toni di grigio). I progressisti, che per primi avevano puntato su Musk, si sentono traditi, mentre i conservatori gongolano, perché finalmente hanno un innovatore – anzi, l’Innovatore – a loro completa disposizione. Entrambi gli schieramenti hanno la loro parte di ragione, che però non tiene conto di un dettaglio abbastanza importante. “Di per sé”, l’innovazione non è conservatrice né progressista. La sua autosufficienza poggia sulla deliberata capacità di ignorare i fini per concentrarsi sugli obiettivi. Ancora una volta, i due termini non vanno intesi come sinonimi: il conseguimento di un fine presuppone una componente ideale, da realizzare gradualmente, servendosi degli obiettivi come di elementi strumentali. Nel combinato disposto tra innovazione ed efficienza, invece, ogni obiettivo ne presuppone un altro, senza alcun bisogno di fare appello a una finalità ideale.
Volendo, un’ideologia di riferimento ci sarebbe, ed è quella del cosiddetto lungotermismo, per cui gli eventuali danni che l’innovazione provoca nel presente (qualche migliaio di licenziamenti in giro per il mondo, per esempio, oppure il peggioramento delle condizioni climatiche in qualche remota regione asiatica) risultano del tutto trascurabili in confronto ai benefici dell’efficienza prossima ventura. Anche in questo, Musk è meno isolato di quanto si potrebbe credere. Il lungotermismo spopola tra gli imprenditori del digitale avanzato, come documenta un’ormai ampia letteratura. Il lungotermismo sì che è un lusso, e infatti sono pochissimi a trarne vantaggio. Per il resto, non c’è che da rassegnarsi a uno status quo per molti aspetti mortificante. La colpa non è dell’innovazione, ripetiamolo, né tanto meno della ricerca di una maggior efficienza. Solo che non si può procedere senza scopo, non si possono sistematicamente sacrificare i fini agli obiettivi. L’innovazione non può essere ridotta alla mera automazione dei processi, perché una simile tendenza indurrà, presto o tardi, a ritenere “antiquato” l’essere umano, secondo la preveggente formulazione di un grande intellettuale tedesco del Novecento, Günther Anders: uno che, avendo sperimentato la spietata efficienza messa in atto dal Terzo Reich, sapeva bene quale fosse la posta in gioco.
Da parte nostra, per rendere omaggio al rinnovato spirito di patriottismo di cui ha dato testimonianza il presidente Mattarella, potremmo tornare a sfogliare il Pasolini degli Scritti corsari, dove si trova la contrapposizione tra l’obiettivo commerciale dello «sviluppo» e il fine politico del «progresso». A dispetto delle apparenze, questa non è una semplificazione. È il passato nel quale continuiamo a vivere, illudendoci che sia sufficiente aggiornare il sistema operativo per entrare trionfalmente nel futuro.