La crisi della rappresentanza politica non è un tema nuovo, ma oggi si manifesta in forme sempre più acute: una percentuale crescente di cittadini diserta le urne, mentre il distacco tra istituzioni e società si allarga pericolosamente. In questo vuoto si agita una democrazia che, ridotta al solo momento elettorale, perde il suo spessore deliberativo e partecipativo. I partiti, pilastri tradizionali della mediazione sociale, arrancano nel ricostruire fiducia e connessioni con le persone. Eppure, nel momento in cui Stato e Mercato faticano a rispondere alle crisi sistemiche – dalla pandemia alla transizione energetica, dalla crescente disuguaglianza alla povertà educativa – emerge con forza una terza via: il Terzo Pilastro.
Più che un argine alle inefficienze istituzionali, la società civile organizzata rappresenta oggi una delle poche infrastrutture capaci di rigenerare il capitale sociale e di alimentare quella fiducia di cui ogni democrazia si nutre. La sua forza non risiede solo nella capacità di “riparare” le falle del sistema, ma nel generare un valore che è al contempo economico, sociale e politico. È nei beni relazionali prodotti da associazioni, cooperative e imprese sociali che si trova la chiave per restituire senso al bene comune. Sono i volontari e le organizzazioni radicate nei territori a riattivare, dal basso, processi che il sistema politico sembra ormai incapace di avviare. In questo contesto, la cittadinanza attiva si propone come il “Terzo Pilastro” della nostra società, accanto a Stato e Mercato. Come suggerisce Raghuram Rajan, la comunità è troppo spesso dimenticata da entrambi: subordinata al mercato o strumentalizzata dalla politica, rischia di essere ridotta a un attore marginale. Eppure, il benessere collettivo dipende da quella comunità che il mutualismo incarna, valorizza e organizza. È qui che il ruolo politico della società civile diventa essenziale. Non si tratta di sostituire i partiti, ma di agire come catalizzatore di una nuova stagione politica. Questo ecosistema dinamico può contribuire a ripensare le regole del gioco, rendendo le istituzioni più inclusive e permeabili alla partecipazione; può accompagnare la co-programmazione delle politiche pubbliche, portando in dote non solo l’analisi dei bisogni, ma una visione chiara dei cambiamenti necessari; può riattivare processi deliberativi che, superando la retorica delle polarizzazioni, riportino i cittadini al centro della decisione pubblica. Ma la società civile è anche laboratorio di futuro.
È qui che si coltivano competenze, motivazioni e visioni orientate all’interesse generale. Ed è qui che può nascere una nuova classe dirigente, capace di resistere alla tentazione dell’isomorfismo politico – quella lenta assimilazione alle logiche di potere che spegne ogni spinta trasformativa – per diventare motore di una democrazia che non si limiti alla custodia dell’esistente, ma si apra al cambiamento. Oggi, il rischio maggiore per la democrazia non è solo la disaffezione elettorale, ma l’idea che nulla possa davvero cambiare. Le organizzazioni che operano nell’interesse generale, con il loro radicamento nei territori e la loro capacità di trasformare le aspirazioni individuali in progetti collettivi, offrono un antidoto concreto a questa deriva. Non sono solo attori economici o dispensatori di servizi: sono agenti politici nella prospettiva declinata da Hannah Arendt ossia piattaforme dove la società può organizzarsi, dialogare pubblicamente e costruire il futuro. Serve però un riconoscimento più netto del loro ruolo. La politica deve imparare a vedere queste realtà non come comprimarie, ma come partner strategiche per una nuova fase della democrazia. Non è più tempo di delegare o ignorare: il Terzo Pilastro è la base su cui costruire istituzioni più aperte e una politica capace di restituire ai cittadini il potere di incidere sulla realtà. La crisi della democrazia non si risolverà con riforme tecnocratiche o con il mero ricambio delle élite. Serve una visione che ricucia il legame tra istituzioni e società, che restituisca senso al partecipare e valore al fare comunità. In questo, la cittadinanza organizzata non è solo un’opportunità: è una necessità.