Aveva pochi anni, Davide, quando il terremoto dell’80 gli portò via la casa e la serenità. Visse sulla sua pelle il disagio di crescere in un piccolo container. Poi, finalmente, arrivò la casa nuova tanto attesa. La sua famiglia fu destinata a Caivano, cittadina in provincia di Napoli ai confini con quella di Caserta. Era un ragazzino, Davide, quando lo incontrai la prima volta. Incontri, catechesi, giochi, pellegrinaggi, campi estivi. Difficoltà, scoraggiamenti, cadute, riprese, speranze. Oggi è un giovane padre onesto e responsabile. Pochi giorni fa è arrivato per l’adorazione. Aveva la barba lunga e la rabbia stampata in volto. «Me ne vado, padre. Me ne voglio andare da 'qui dentro'. Veniamo segnati a dito. Ho il dovere di mettere al riparo i miei bambini. Mi dispiace, padre, ma appena posso me ne vado. Sto cercando casa altrove …». Non rispondo. Sento il gelo che mi attraversa il corpo. Tante volte abbiamo parlato della possibilità di abbandonare il quartiere. Un quartiere dove lo Stato, da sempre, è un illustre sconosciuto. Tante volte ci siamo chiesti che cosa il Signore chiedeva a me parroco e a loro fedeli laici. Tante volte abbiamo convenuto che le difficoltà si affrontano, non si evitano. C’è un tempo per ogni cosa. Questo è il tempo della croce. La croce si porta, si sopporta, si trascina, ma non si getta. Andare via? È quello che da sempre vuole la camorra. Mandare via gli onesti e sostituirli con gli affiliati. Per realizzare un vecchio sogno che tanto le sta a cuore: fare del quartiere un ghetto. Con il proprio 'sindaco' e la propria 'amministrazione'. Perché quanto più il ghetto è un ghetto tanto più può partorire i 'figli del ghetto'. Quei figli che, crescendo, impareranno a osservare le regole del ghetto. E che troveranno – o si convinceranno di trovare – nel boss l’unica industria che gli dà da 'lavorare'. Anche Sara vuole scappare via. Ha avuto, questa donna povera e fragile, il coraggio di mettere al mondo cinque figli. Tirano avanti onestamente: suo marito lavora e lei contribuisce facendo le pulizie alle signore. Come loro altre decine di famiglie del 'Parco Verde' in Caivano, stanno vivendo in queste settimane un disagio immenso. Stefania aveva le lacrime agli occhi. Suo figlio frequenta la scuola media. I suoi amici si sono rifiutati di venire a studiare da lui. «Se vuoi – gli hanno detto – vieni tu da noi. Qui è pericoloso. I nostri genitori non vogliono che veniamo».
Le tristissime storie di pedofilia avvenute in un palazzo che confina con il 'Parco verde' ha gettato su tutti gli abitanti un’ombra di vergogna e di imbarazzo. Oggi tanti si accorgono e parlano dei quartieri a rischio. Fanno bene a venire le telecamere e i riflettori? Sì, se il problema lo si affronta con onestà, intelligenza, competenza e desiderio di aiutare le persone. No, se chi viene, come uno sciacallo, si getta sulla preda per strapparne la carne viva. Pedofilia: un termine angosciante. Pedofilo: un uomo che spaventa. Ma dove si nasconde? Dove andare ad acciuffarlo per mettere al riparo i bimbi? Qui tocchiamo con mano la nostra pochezza. I nostri limiti. La rabbia monta e la tentazione di prendere scorciatoie si fa sentire. Che facciamo? Sappiamo che sono veramente tanti in giro per il mondo questi nemici dei bambini. E si scambiano, si prestano, commerciano immagini e filmati di violenze sui bambini – a volte solo neonati – da far ribollire il sangue nelle vene. Che non possono essere identificati in una razza, non possono essere confinati in un quartiere. Li trovi dappertutto. Tra i vecchi e i giovani. I ricchi e i poveri. I colti e gli ignoranti. Chi è un pedofilo? Un malato? Allora andrebbe curato. Che cosa dice a riguardo l’Organizzazione mondiale della sanità? Perché tace? Ci sentiamo piccoli. Che fare allora? Continuare col clima di caccia alle streghe? Continuare a sparare nel mucchio col rischio di colpire gli innocenti? O, invece, fermarci, riflettere, rivestirci di umiltà e ammettere onestamente che riguardo a questo dramma immenso e vergognoso si è fatto tanto poco quanto niente?
Abbiamo impiegato anni per costruire la nostra bella comunità. La parrocchia è stato l’unico ponte tra il quartiere degradato e i paesi circostanti. Abbiamo avuto la gioia di vedere nascere in mezzo a noi una decina di vocazioni al sacerdozio. Soffriamo e ci impegniamo per lo scempio della 'terra dei fuochi'. Oggi non dobbiamo cadere nella trappola. Non possiamo permetterci di fare il gioco della camorra. Non dobbiamo costringere, con i nostri giudizi affrettati e falsi, le persone perbene a scappare via.
Fortuna merita giustizia. La sua morte non deve essere vana. Deve riaccendere il dibattito serio sulla piaga immensa della pedofilia. Ma non permettiamo che la storia di Fortuna si trasformi in un regalo alla camorra. Sosteniamo le famiglie oneste e responsabili. Incoraggiamole a rimanere dove il Signore le ha volute per continuare a combattere la buona battaglia della fede e della giustizia. Per continuare ad essere il buon profumo di Cristo in mezzo a un fetore asfissiante che in questi giorni ci sta rubando il fiato.