Non conosco il vincente nella corsa alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Ma conosco il perdente. È il digitalismo, ossia l’illusione che le nuove tecnologie digitali sarebbero l’arma definitiva per dare ai popoli la supremazia sui potenti e per creare un’era di partecipazione civile, di progresso e di armonia.
Gli Stati Uniti, la patria del digitale di massa, ci hanno mostrato che può essere vero il contrario. Nonostante i suoi immensi benefici, oggi internet serve più i potenti, che gli utenti. Il digitale domina il mondo anche senza Trump. Ma Trump non dominerebbe senza il digitale. «Le piattaforme online che ci uniscono sono ora presumibilmente diventate armi per soggetti politici che vanno dai neonazisti agli Stati nazionali», scrisse il pioniere digitale David Barker, nel suo celebre articolo “ Internet is broken” (”Internet è guasta”, Wired Uk, 19 ottobre 2017).
Anche se ora fosse sconfitto sul campo elettorale, il trumpismo resterebbe imbattuto in tanti cuori. Forse esso – col suo sconvolgente ed esibito impasto di liberismo e di sessismo, di positiva difesa della vita nascente da un lato e di pericoloso suprematismo bianco dall’altro – impregnerà gli Usa per generazioni, così come il pregiudizio razzista che perse la guerra civile quasi due secoli fa eppure domina ancora l’animo di decine di milioni di statunitensi.
Ma qualcuno pensa davvero che il trionfo e il radicamento del trumpismo sarebbero avvenuti senza le armi digitali? Il “sistema Trump” ci insegna che oggi per dominare servono più i dati che i soldati. Però, molti diranno, il digitale e internet stanno cambiando in meglio la mia vita e quella di miliardi di persone. Non è questo il punto. Il punto è che tra la cornucopia degli effetti benefici di certe invenzioni, ne basta uno imprevisto e pernicioso, per creare danni smisurati.
Per esempio, scopriamo solo adesso che decine di milioni di tonnellate di utilissime plastiche si sono sbriciolate in particelle invisibili in tutti gli oceani, nei pesci, nei cibi e nei nostri tessuti. Dobbiamo allora rinunciare alla chimica moderna che tanto ha migliorato le nostre vite? Dobbiamo forse rinunciare al digitale perché il trumpismo di massa ne è un figlio non voluto? Certo che no. La storia della crescente regolamentazione delle produzioni chimiche ci insegna che si può cercare di non “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Ben lungi dall’aver sventato tutti i pericoli chimici, abbiamo però imparato, con cinquant’anni di legislazione, a eliminare o ridurre molti di essi.
Questo è avvenuto grazie a decenni di crescenti ricerche critiche, di allarme sanitario, mediatico e sociale, e di conseguente regolamentazione degli Stati. Ora occorre fare lo stesso per il digitale. Il principale ostacolo, però, è l’euforia di massa per la “rivoluzione digitale”, ancora percepita come una manna gratuita e salutare che piove su tutti noi, senza che ci chiediamo cosa ci sia dietro l’angolo di questa rivoluzione. L’altro ostacolo è l’estrema lentezza di reazione dei nostri anticorpi individuali e sociali. Da una parte il digitale dilaga a una velocità molto superiore a quella di altre tecnologie ambivalenti del passato (per esempio quelle atomiche e quelle chimiche).
Dall’altra parte, l’esplosione del mercato digitale è l’ultima risorsa per salvare il dogma della crescita economica, in un mondo ricco in cui quasi tutte le case sono ormai sature di ogni altra mercanzia. Quindi, nessuno osi nemmeno pensare di porre alcun argine alla ultima gallina dalle uova d’oro… Se ora arriverà una scossa critica, c’è da sperare che si cominci a riflettere anche sugli effetti nefasti di una tecnologia che – ci hanno raccontato i digitalisti – doveva cambiare il mondo soltanto in meglio.