Perché? Perché Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky non stanno usando questo tempo per cercare la pace? Perché, nonostante entrambi sappiano che questa guerra non avrà un vincitore assoluto, continuano a restare fermi sulle reciproche posizioni e convinzioni? Perché l'uomo di Mosca pensa a un nuovo reclutamento di massa ed è disposto a dar fondo alle sue armerie financo utilizzando i residuati bellici dell’epoca sovietica? E perché l'uomo di Kiev cerca di nascondere almeno quanto i russi le perdite militari e continua senza sosta a ri-chiedere armi alla Nato?. Perché, dicono gli analisti all'unisono con gli strateghi di entrambe le parti, ambedue credono che non sia ancora il tempo della trattativa. Ma quello che avverrà tra poco più di un mese e mezzo nelle terre dell’Oriente europeo sarà dieci, cento volte più tremendo di quello che è avvenuto finora.
Lo dicono i fatti di queste ore. Il premier britannico Rishi Sunak, erede della politica dell’escalation bellicistica del suo predecessore Boris Johnson, prova a trascinare l’Occidente. Ha rotto il tabù statunitense sull’invio di carri armati, per non alzare il livello dello scontro, oliando i cingoli ai Challenger 2 che presto varcheranno la frontiera polacca per poi entrare in Ucraina. Magari precedendo solo di pochi giorni i Leopard 2 che la stessa Varsavia spedirà dopo il via libera di Berlino. Ma Londra nella sua scelta di alzare l’asticella per vedere che cosa farà lo zar, è già andata anche oltre, preannunciando la prossima consegna agli ucraini di elicotteri Apache (comprati dagli Usa) e armati con i micidiali Hellfires, missili che sommano alla loro gittata la possibilità di essere sparati al limite del confine russo o ben oltre come hanno già dimostrato gli ucraini in diverse sortite oltrecortina, come si diceva un tempo, in linguaggio Nato. Davanti a tutto questo Putin l'invasore non resta immobile.
A settimane, se non a giorni, annuncerà un nuovo reclutamento di massa per riempire i varchi nei reparti scavati sanguinosamente da dieci mesi di guerra. Scaglierà altri (pochi e costosissimi) missili ipersonici e cambierà strategia tornando ai dettami della guerra classica (che chiamerà “patriottica” come usa fare in queste occasioni) dopo aver lasciato commettere errori madornali ai sei generali che ha già incaricato e rimosso dal 24 febbraio. Ma è proprio nel primo anniversario del conflitto che, con la presunta ripresa dell’offensiva degli invasori e la relativa risposta ucraina rafforzata dagli aiuti in arrivo, si entrerà in una fase nuova: più imprevedibile, sanguinosa e drammaticamente pericolosa.
Gli americani hanno già speso 20 miliardi di dollari in armamenti inviati, il resto della coalizione quasi dieci. Dall’altro lato l'autocrate sta dissanguando le risorse della Madre Russia senza poter più contare su buona parte degli introiti che incamerava con l’energia prima della guerra. Lo zar è solo, come nell’immagine della messa di Natale nella cattedrale tra le mura del Cremlino. I sodali pronti a morire per Kiev si sono ridotti al lumicino e i cinesi si guardano bene dal passare dalle parole di circostanza e di generico appoggio ai fatti. La disperazione può portare a scelte estreme, e lo stesso può avvenire dalla parte opposta della barricata, quella di Zelensky, dove si spera di poter recuperare tutto o quasi ciò che era stato perso.
Per questo l’ultima chiamata è quella di queste ore. La voce nel deserto di papa Francesco è autorevole, forte, decisa ma anch'essa è solitaria. E così a un anno dall'inizio di questa fase della guerra russo-ucraina e alla vigilia della sua ripresa, che avverrà sul fronte del Dnepr, tornano con forza gli estremi timori “nucleari“, che si ventilavano dieci mesi fa. Tornano e spostano l’Orologio dell’Apocalisse sempre più verso la mezzanotte dell’umanità. Il dittatore solo, nel labirinto del Cremlino, ora spaventa di più.