Il convitato di pietra
giovedì 17 giugno 2021

Non amici, perché ognuno ha difeso gli interessi del proprio Paese. Ma nemmeno apertamente ostili, perché hanno parlato due ore, trovato qualche elemento di convergenza e siglato una dichiarazione per la stabilità strategica nucleare. Il vertice Biden-Putin a Ginevra è stato lungi dall’essere un faccia a faccia storico. Costruttivo, per qualcuno. Più semplicemente, ha reso plastiche le tensioni e la distanza che separano Washington da Mosca e viceversa. Il presidente russo si è confermato un leader di ghiaccio nel ripetere con toni assertivi e monocordi semplici constatazioni della difficoltà nei rapporti bilaterali e palesi falsità sulle vicende dell’oppositore Navalny (con sprezzo mai chiamato con il suo nome) e dei cyber-attacchi alle infrastrutture americane, attribuite a una serie di attori internazionali ad esclusione di hacker del proprio Paese. Nessun passo avanti sull’Ucraina, primo e vero ostacolo sulla strada del dialogo anche con la Ue.

Piccolo esito positivo collaterale il prossimo rientro dei rispettivi ambasciatori, nel clima di un pragmatismo da 'guerra fredda' ma non troppo. Biden, che ha parlato con i giornalisti dopo Putin, ha voluto precisare che i diritti umani saranno sempre sul tavolo e la sorte di Navalny risulterà una cartina di tornasole sulle reali intenzioni del suo interlocutore in questo campo. L’asimmetria emerge qui chiara, al di là delle formule diplomatiche.

Il presidente americano parla in nome del suo popolo che gli chiede di fare rispettare le libertà fondamentali in tutto il mondo, deve rispondere a un sistema politico pluralistico e non può trattare i contestatori come criminali. A Mosca c’è uno Zar con la sua corte, che trova solo timidi ostacoli in un’opinione pubblica divisa e spesso impaurita.

Quando si va a trattare, uno ha forti vincoli, comprese le istanze dei suoi alleati, l’altro gioca la partita come meglio ritiene per accrescere il proprio potere. Putin ha ottenuto di essere riaccreditato come un interlocutore di primo livello, ma Biden non ha esitato a tracciare alcune linee rosse, che vanno dall’Ucraina alla cybersicurezza, dal rispetto minimo dell’opposizione interna alle possibili interferenze negli affari interni americani. Tre anni fa al summit con Trump tutto sembrava meno serio e grave, anche se i temi sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Al capo della Casa Bianca il leader russo ha ribattuto senza fare troppe concessioni, ma poi ha detto di essere soddisfatto della spiegazione ricevuta sull’appellativo di 'killer' che aveva inopinatamente ricevuto dal presidente americano.

Non senza una puntura di spillo: 'Io assassino? Sono i droni Usa che uccidono'. Come se i mercenari russi non sparassero, dal Donbass all’Africa. Il tono complessivo sembra essere stato questo. Ciascuno è rimasto elegantemente sulle proprie posizioni, tanto che vi sono state parole di moderato apprezzamento umano reciproco, entrambi sanno che lo scacchiere geostrategico è estremamente complesso e che la Cina rappresenta ormai il convitato di pietra di ogni summit tra le ex superpotenze che un tempo potevano scrivere da sole i destini del Pianeta.

Si farà qualche passo ufficiale sul controllo degli arsenali nucleari, mentre sotto traccia tutti sono consapevoli che si studiano nuovi, segreti sistemi d’arma ultramoderni sui quali ognuno sta facendo grandi investimenti. Questa Russia cerca di prendere quello che può, stante le sue debolezze strutturali conclamate (dall’economia poco differenziata al declino demografico), gli Stati Uniti possono avere buon gioco a contenere le mire espansionistiche di Mosca, avendo già aperto il fronte del Pacifico con Pechino. Per questo toccherà anche all’Europa fare la sua parte nella partita sempre più complicata di un mondo disordinato, benché l’algida protervia di Putin e la bonaria fermezza di Biden abbiano fatto sembrare le cose molto più semplici di quello che sono.

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