Regole di sopravvivenza, dalle chiese alle montagne Forse è perché è stata un’estate davvero molto calda. Forse è per questo che le cronache hanno registrato a più riprese notizie come quella dei turisti accaldati a bagno nei canali di Venezia, sgridati da un irato gondoliere. O di altri che si rinfrescavano, seminudi, nelle fontane sotto l’Altare della Patria a Roma. L’ultima è di ieri, un ragazzo spagnolo di 12 anni non ha retto, nella calura della Capitale, al fascino dell’acqua della fontana di piazza Navona, e, aizzato dai fratelli, ci è entrato. I genitori si erano distratti ma sono arrivati prima di loro i vigili, con una multa da 450 euro. Un’estate bollente, con la colonnina di mercurio ben sopra i 30 gradi sembra per qualcuno il segnale di una 'libera uscita', e l’afa del pomeriggio l’occasione per una seppure modesta trasgressione. Uomini a torso nudo – cosa che non dona a tutti – in giro per Milano come fossero a Rimini, signore che stringono in scialli trasparenti la scollatura della canottiera da spiaggia, nell’entrare nelle chiese monumentali di Firenze e di Roma.
Come se l’estate spingesse a una sregolatezza, a una infrazione di regole normalmente ovvie. E non, purtroppo, di regole puramente di buon gusto, ma anche di buon senso. Sulle vette delle Alpi su cui si sbarca con una funivia è sempre più facile incrociare ragazzi con le scarpe da tennis ai piedi, e nelle giornate di sole una maglietta appena, e niente zaino, quindi niente KW da pioggia, né golf, né borraccia. Tornano a valle per sentieri esposti vestiti come per un pic nic al parco, scivolando sulla ghiaia con le suole lisce; e ti domandi se gli hanno insegnato almeno a non ripararsi in mezzo al bosco, se scoppia un temporale. Li guardi e pensi a quando i tuoi ti ripetevano che in montagna si va con scarpe buone, maglione, giacca da pioggia, acqua e cioccolata, utile nel caso di calo degli zuccheri. Era una sapienza modesta, ma tramandata da generazioni. Un ricordare che la montagna è un orizzonte ben diverso dal nostro abituale, quindi un entrarci coscienti e preparati.
La stessa smemoratezza sembra avere parte anche in vere tragedie: quanti incidenti in alta montagna in questi mesi, e quanti morti. Tanto da far pensare a un allargamento della platea di chi crede di sapere affrontare una parete, come fosse cosa per tutti; come non esistesse più alcuna regola nel fare, nell’andare, nell’inoltrarsi in un quel mondo altro e aspro dei 3.000 metri sul livello del mare. E chi si avventura nella gola di un torrente noto per le sue piene quando le previsioni meteo annunciano rovesci, con le infradito ai piedi e dei bambini per mano? Non c’era nessun divieto, senti dire poi; d’accordo, ma anche sulle scogliere non ci sono cartelli che vietano di buttarsi di sotto, si conta normalmente sul senso comune delle persone.
Il senso comune, quell’insieme tacito di regole ereditate e condivise per cui si sa che non ci si tuffa nelle fontane, e non si gira nudi o quasi. Il senso comune per cui non si va a fare un’escursione se non sapendo quello che si fa: per rispetto di te stesso, e di quelli che dovranno venirti a cercare, se ti metti nei guai. Ma questo senso comune – sarà davvero questa caldissima estate? – pare non essere più così totalmente condiviso. Si allarga una sregolatezza un po’ sguaiata, un po’ anarchica: si fa quel che si vuole, quel che viene in mente. Niente da chiedere, e men che meno da imparare.
Domina l’istintività del desiderio individuale. Fai quello che ti va: e ancora menomale se si tratta di un bagno nel Canal Grande, e non di rafting in un torrente. Quasi come se tutto quello che vedi sul web o in tv fosse accessibile, e a portata di mano: basta allungarla. Affascinanti, sullo schermo di un pc, certi sport estremi; e come scendono da quei torrenti, le canoe dei campioni. Ma la realtà, è tutt’altra cosa dal virtuale: la corrente travolge, le cime sono gelide e impervie, e sui sentieri, davvero, ci vogliono buone scarpe. In fondo si tratta, come anche nelle piazze o nelle chiese, semplicemente di ricordare chi si è e dove si va, e a cosa fare. Dentro a un rispetto degli altri, dei luoghi e dei mondi in cui ci si avventura. Sapendo che ciò che è virtuale è sempre facile, colorato, e basta un clic per uscirne; mentre la realtà, talvolta, si fa pagare cara.