Caro direttore,
lodevole per il ministero della Salute il permettere di comprare all’estero farmaci per epatite C (o, comunque, farmaci costosissimi per varie patologie rare) che in Italia non si trovano o costano un patrimonio. La condizione ammessa è il «fai-da-te» per uso esclusivo personale. Il «fai-da-te» è un rimedio peggiore del male poiché il privato non è in grado di valutare l’affidabilità del venditore estero e neppure che i prezzi siano convenienti al massimo. Tutti ricordano l’episodio, che ha creato il caso, del farmaco che in India costa 6.000 euro e in Italia 70.000. Bisogna invece che i farmaci siano ammessi al commercio domestico e che, anche se ad uso personale, la cosa avvenga tramite farmacia italiana dietro modesto compenso percentuale sul costo. Scherzare con la salute è pericoloso; specialmente per acquisti via internet da sconosciuti.
Gian Carlo Politi
Caro signor Politi, il direttore mi incarica di rispondere alle sue osservazioni e lo faccio volentieri, a completamento delle informazioni che abbiamo puntualmente fornito nell’edizione di ieri di Avvenire. Il dubbio che lei manifesta per molti aspetti è legittimo. I “nuovi” farmaci per la cura dell’epatite C sono molto cari se acquistati in Italia (fino a 80mila euro per un trattamento di 12 settimane) e anche se pochi giorni fa l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha ridefinito i criteri di trattamento rendendo accessibile la cura a un numero molto più elevato di persone, fino ad ora la rimborsabilità era stata concessa solo ai casi più gravi. Il nuovo piano nazionale dovrebbe consentire di eradicare il virus in tre anni, ma chi non ha la malattia in stato avanzato dovrà in ogni caso aspettare del tempo. La circolare firmata dal ministro per la Salute Beatrice Lorenzin rende possibile recarsi all’estero a comprare il farmaco senza correre il rischio di essere bloccati alla dogana, oppure ordinarlo e farlo arrivare “comodamente” per posta. In questi anni molte persone hanno intrapreso viaggi in India o Egitto (dove possono bastare poche centinaia di euro per procurarsi la cura) alimentando una forma di turismo sanitario che ha sollevato non pochi interrogativi e attorno al quale, al di là di ogni altra considerazione di opportunità, era comunque necessario fare chiarezza. Certo, l’immagine che può restituire il provvedimento è quella di un Paese che dice di cavarsela da soli ai malati che non può curare; o che legittima il fiorire di agenzie turistiche per viaggi non in altri Paesi, ma in altri sistemi sanitari. In realtà non è proprio così. I farmaci di nuova generazione hanno rappresentato una vera rivoluzione, per l’efficacia che hanno contro certe malattie e per i prezzi che le case farmaceutiche hanno cercato di imporre. Era chiaro che la situazione dovesse evolvere, come è accaduto e come accadrà ancora. La circolare non introduce affatto un «fai–da–te» indiscriminato e nemmeno legittima una sorta di «far west». Intanto perché rende l’importazione di farmaci giustificata solo in determinati casi (mancanza di valide alternative terapeutiche, per pazienti che non rientrano nei casi di eleggibilità del trattamento...); e poi perché non si potrà semplicemente ordinare il farmaco via internet e farselo arrivare, ma perché la procedura – in base al dm 11 febbraio 1997 – potrà avvenire solo sotto la responsabilità del medico curante, al quale spetta «predisporre e inviare al Ministero della Salute, nonché al corrispondente ufficio doganale» una nutrita documentazione: nome del medicinale, forma farmaceutica, ditta produttrice, quantitativo... etc. Insomma, è sempre il medico che ha la responsabilità di decidere se e come curare il paziente. Certo, il migliore dei mondi possibili è quello in cui tutti possono curarsi subito e gratis, anche se non vi è sempre una reale urgenza. Ma la situazione è talmente in evoluzione che possono cambiare ancora molte cose. In questo senso non è escluso che abbattendo molte frontiere la circolare possa produrre un effetto positivo nella trattativa sui prezzi dei farmaci con le case farmaceutiche. E dunque ampliare ulteriormente la platea dei beneficiari.