La sfida del Governo: 50 miliardi di investimenti
martedì 24 luglio 2018

La strategia economica del nuovo governo nata dal confronto tra le spinte dei partiti che lo formano e i vincoli e limiti posti dai ministri tecnici comincia lentamente a delinearsi e si muove su un crinale sottile, tra rischio di crisi dello spread e accusa di minimalismo e di tradimento delle promesse elettorali.

L’idea, accennata già nelle prime interviste del ministro Tria e supportata dal ministro Savona, è quella di un piano di investimenti pubblici di circa 50 miliardi da negoziare con l’Unione Europea fuori dai vincoli del Fiscal Compact. Partendo dall’ipotesi che questi investimenti abbiano elevato moltiplicatore essi dovrebbero generare quelle risorse (almeno 20 miliardi l’anno nello scenario più ottimistico) necessarie per realizzare i due progetti di flat tax e reddito di cittadinanza con cui 5stelle e Lega (nell’ambito di un centrodestra, ora diviso) hanno vinto le elezioni del 4 marzo, conquistando le due metà del Paese.

L’idea non è nuova e neppure strampalata visto che da più parti e da tempo si sottolinea come il problema principale dell’Italia sia la carenza d’investimenti e si chiede che gli stessi siano scorporati dal Fiscal Compact quando incidono significativamente sulla crescita producendo così le risorse fiscali necessarie per ripagare l’iniziale aumento della spesa pubblica. Restano però numerosi limiti e ostacoli, che si frappongono alla realizzazione del progetto.

Il moltiplicatore delle opere pubbliche realizzate può effettivamente essere elevato, ma quello delle opere progettate, che devono arrivare faticosamente al varo tra proteste di comitati locali, limiti della burocrazia e lungaggini delle procedure d’appalto è molto più basso. Il frutto degli investimenti infrastrutturali è in parte immediato (la loro realizzazione mette in moto attività e settori economici) in parte differito al momento della conclusione dell’opera.

Pensare che possa produrre dividendi così elevati subito in termini di risorse fiscali è piuttosto azzardato. Ci sono diverse possibilità per superare questi limiti. La prima è un impegno forte sulla riduzione di quei lacci e lacciuoli (burocrazia, lungaggini degli appalti, tempi della giustizia civile) che rendono oggi difficile l’attività d’impresa in Italia e limitano realizzazione ed efficacia degli investimenti. Con tale impegno l’idea dell’alto moltiplicatore diventa più credibile. In Italia i fattori scarsi che rallentano le nostre possibilità di sviluppo economico e sociale non sono né il capitale finanziario né il lavoro, ma le idee imprenditoriali vincenti e le condizioni di sistema necessarie per realizzarle con successo.

Ecco perché lavorare sulla riforma di sistema è così decisivo. La seconda è quella di utilizzare per il finanziamento di una parte del piano d’investimenti i 'tagli' a quella parte di detrazioni e deduzioni fiscali che risulta meno 'sensibile', socialmente e politicamente, nella giungla degli interventi accumulatisi nel corso degli anni. Un altro accorgimento importante è quello di non abbandonare la strada, meno costosa e più rapida, di incentivare l’investimento privato e l’innovazione con misure come il superammortamento e di rafforzare e non mettere da parte misure come il bonus per la ristrutturazione edilizia che si sono ampiamente ripagate favorendo l’emersione del sommerso. C’è anzi da estendere questo stesso principio a settori ormai fondamentali della vita economica del Paese, come quelli dei servizi alla famiglia e alla persona.

Qualunque sia la nostra idea politica, non dovremmo mai schiacciarci sull’interesse di una parte ma avere a cuore l’interesse generale e tifare dunque perché l’Italia ce la faccia. Per questo, correzioni in corso d’opera come quelle sopra formulate sono auspicabili e necessarie e potrebbero favorire il successo dell’iniziativa. Il rischio in caso di fallimento è che la coalizione di governo si trovi di fronte a due muri. Da una parte lo scontro aperto con l’Europa che ci porterebbe a una rapidissima crisi finanziaria e alla fine dell’esperienza del Governo Conte, non sappiamo però con quante ferite da rimarginare. Dall’altra la scelta 'minimalista' che tradirebbe però inesorabilmente le promesse elettorali.

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