Papa Francesco ha inviato un breve ma intenso messaggio ai cattolici cinesi, il
24 maggio, festa della Beata Vergine Maria 'Aiuto dei Cristiani', venerata nel santuario di Sheshan. Collocato fuori dalla città di Shanghai su una collina che sovrasta la campagna, fino a pochi anni fa era raggiungibile con una strada non molto affollata e attentamente vigilata per impedire improvvisi arrivi di massa. Da Sheshan, si temeva infatti, sarebbe partito il segnale per una rivolta dei cattolici cinesi in tutto il Paese. La preoccupazione si fondava sulla lunga storia di rivolte settarie, che hanno insanguinato la Cina nei secoli passati, trascurando le differenze tra fede cattolica e altre credenze religiose. Oggi le campagne circostanti sono invase di ville e alberghi e l’ingresso al santuario trasformato in un percorso turistico, la strada per giungervi è molto frequentata e si vedono meno controlli di sicurezza. Le autorità non temono più che da Sheshan parta una rivolta dei cattolici. Ma intorno al santuario il panorama - economico ed urbanistico, sociale e umano - è radicalmente cambiato.
Le trasformazioni sono oggi così rapide da far temere a qualcuno che la Cina stia perdendo la propria identità: è quanto esprime il film di Jia Zhang-ke
Al di là delle montagne. Non preoccupano solo le attuali incertezze dell’economia nazionale, ma anche gli effetti dell’enorme crescita degli ultimi trent’anni. C’è anche questo nella lotta contro la corruzione, che spinge qualcuno ad accostare il presidente Xi Jinping a papa Francesco. Lo sforzo di orientare positivamente il grande cambiamento ispira anche un’attenzione nuova nei confronti delle religioni. Ad esse è stata dedicata la Conferenza nazionale svolta alla fine di aprile, con la partecipazione delle massime autorità. Nel discorso qui tenuto da Xi Jinping qualcuno ha visto un’inedita volontà persecutoria e altri un’inattesa apertura. L’una e l’altra sono poco probabili. Lo stile cinese non ama bruschi cambiamenti e predilige correzioni progressive. Xi Jinping ha ribadito le posizioni del XVII Congresso del Partito Comunista Cinese nel 2007, quando era presidente Hu Jintao. Quel Congresso affermò infatti che le religioni dovevano contribuire alla costruzione della società armoniosa e anche se Xi Jinping preferisce parlare di «sogno cinese», neanche lui prospetta una lotta contro le religioni e indica invece il ruolo che devono svolgere nella società socialista con caratteristiche cinesi.
Nessuna novità, dunque? Nel Regno di Mezzo, ciò che appare in superficie contiene spesso un messaggio profondo. La Conferenza nazionale sulle religioni, prevista ogni dieci anni, non veniva più convocata dal 2001, quando era ancora presidente Jang Zemin. La sua convocazione oggi esprime una volontà di attenzione alle religioni più forte di quella degli anni passati. Il partito non deve più occuparsene in modo discontinuo e contraddittorio, non con discrezionalità amministrativa ma nel quadro della legge. È implicita una critica a gestioni disordinate e opache (tra queste rientra anche la rimozione forzata delle croci nello Zhejang?).
Il partito deve 'guidare' le religioni, ha detto Xi Jinping usando però il termine yindao (indicativo di una re-azione a qualcosa che già esiste di per sé), invece di zhidao (espressione di un potere impositivo che pretende di creare la realtà). Lo ha sottolineato, in modo certo non casuale, l’agenzia ufficiale
Xinhua. È anzitutto attraverso i mutamenti del linguaggio, infatti, che passano 'correzioni' foriere di nuovi sviluppi o recettive di qualcosa che è già cambiato. Ed è quanto si coglie da un articolo di padre Giuseppe Shih di Shangai, pubblicato sul prossimo numero de La Civiltà cattolica. Il prestigioso gesuita - ha lavorato per molti anni alla Radio Vaticana - scrive che «Chiesa e Governo rimangono in Cina due entità ben distinte». Naturalmente, il controllo sulla Chiesa è un dato di fatto, ma «la vita della Chiesa» compresa la comunità ufficiale «non corrisponde in realtà al disegno del Governo». Controllo sì, ma non
zhidao bensì
yindao.Con responsabile realismo e con cuore da pastore, nel suo messaggio Francesco ha detto che la misericordia spinge i cattolici a svolgere un ruolo positivo nella società cinese e che la «cultura dell’incontro» favorisce il «sogno cinese». Sono parole in linea con l’intervista ad 'Asia Times', in cui ha respinto l’ipotesi di una guerra fredda e invitato la comunità internazionale ad accogliere la Cina, E sebbene, sul piano politico ed economico, la Santa Sede sia un 'nano' mentre la Cina è un 'gigante', oggi è Roma ad indicare un futuro per chi abita a Pechino. «Credo che nei confronti della Cina dobbiamo adottare una visione teologica», ha detto recentemente il cardinal Parolin. È ciò che non capiscono quanti si oppongono ostinatamente al dialogo tra il Vaticano e il governo cinese. C’è infatti chi insegue il passato, esultando perché a Taiwan hanno vinto gli 'indipendentisti' che frenano sul dialogo con la Cina. O chi parla di «situazione scismatica» a proposito di vescovi da lungo tempo, invece, notoriamente in comunione con il Papa. Sono letture fortemente segnate da una matrice politica e spesso condizionate da un’eccessiva vicinanza al gigante cinese, come nel caso di Hong Kong (ma il cardinal Tong ha tutt’altra posizione). Sono, soprattutto, mancanti di «visione» e, come diceva san Giovanni Paolo II, il mondo soffre per mancanza di visione.
Molti cattolici cinesi, sia ufficiali sia 'clandestini' trovano invece motivi di speranza proprio nella «visione» che papa Francesco viene tracciando, unendo la sua spettacolare geopolitica alle linee della
Lettera ai cattolici cinesi scritta da Benedetto XVI nel 2007. Gli obiettivi di questa lettera riconciliazione tra comunità ufficiale e clandestina, scomparsa di quest’ultima, intesa con le autorità, eliminazioni di condizioni inaccettabili - sono infatti oggi perseguiti in un dialogo tra le due parti che, secondo il cardinal Parolin, è «attualmente in una fase positiva» anche se «si concluderà con i tempi di Dio». I contatti stanno lasciando il terreno dello scontro ideologico per guardare in concreto a persone, comunità, situazioni. È oggi infatti in primo piano la realtà concreta della Chiesa in Cina, con le ferite ereditate dal passato e in attesa di una mano misericordiosa che le guarisca. Una di queste riguarda Ma Daqin, vescovo a Shanghai, cui da quasi quattro anni è impedito di adempiere le sue funzioni.
Oggi il clima è più disteso, nota padre Shih, e difficilmente il Governo accoglierà le pressioni di quanti vorrebbero sostituirlo. «La Santa Sede non lo abbandonerà certamente», aggiunge in questo articolo per 'La Civiltà cattolica' che, com’è noto, è sottoposta al vaglio della Segreteria di Stato. Riusciranno le due parti a evitare incidenti di percorso, ad esempio in occasione della Nona Assemblea dei rappresentanti cattolici cinesi prevista entro quest’anno? Sarebbe importante, perché prima i pesi del passato saranno rimossi, prima Chiesa in Cina potrà affrontare gli ostacoli che più oggi le impediscono di annunciare il Vangelo. Sono gli ostacoli legati all’urbanizzazione intensa e caotica, allo sconvolgimento di tante tradizioni, alla stanchezza di comunità che faticano a rinnovarsi. Quelli, insomma, che si intuiscono guardano la Cina dal santuario di Sheshan, oggi accerchiato da un contesto urbanistico ed umano senza precedenti nella millenaria storia cinese.