Arriviamo all’estate in una condizione epidemiologica quantitativamente simile a quella dell’anno scorso, ma vi sono diverse motivazioni-condizioni per far sì che l’autunno e l’inverno non siano gli stessi del 2020 e dell’inizio del 2021, con una seconda e una terza ondata epidemica che hanno causato più malati e morti della prima.
Innanzitutto, non bisognerebbe commettere gli stessi errori dello scorso anno e utilizzare i mesi estivi non solo per le vacanze, ma anche per la preparazione alla ripresa scolastica e lavorativa dell’autunno. La variante indiana, che sta ora cominciando a circolare anche in Italia in modo diffuso, sarà in quel momento dominante e le sue caratteristiche di contagiosità sono tali che va assolutamente evitato l’affollamento dei mezzi pubblici e la mancanza di cautele all’interno degli ambienti chiusi, in primis quelli scolastici, che si tradurrebbero in un’impennata dei casi. Un secondo punto cruciale è la cautela nei viaggi e negli spostamenti, l’anno scorso l’epidemia fu fatta ripartire da migliaia di ragazzi che erano andati in vacanza in Paesi come Grecia, Spagna e Croazia che pur di attirare turisti avevano abbandonato ogni cautela. Tanti di loro ritornando in Italia avevano contagiato amici e parenti nelle piazze della movida, nelle discoteche e, soprattutto, all’interno delle loro case. L’impatto di questa superficialità è stato disastroso, questa volta dovremmo evitarlo. La terza condizione, forse la più importante e decisiva nella lotta al coronavirus, è la disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci che l’anno scorso potevamo solo sperare di avere. La campagna vaccinale sta procedendo a ritmi discreti e se viene ulteriormente accelerata le varianti dominanti troveranno una popolazione, soprattutto nelle fasce più vulnerabili, protetta e immune, e questo alleggerirà la pressione sui servizi sanitari e consentirà di non prendere misure di ultima istanza come il lockdown.
Per questo è necessario raggiungere rapidamente gli oltre tre milioni di ultrasessantenni che non sono ancora vaccinati e per questo è indispensabile un maggiore e più omogeneo coinvolgimento dei medici di medicina generale che hanno peraltro elaborato un algoritmo in grado di individuare e raggiungere, anche nelle aree più remote del Paese, i cittadini ancora scoperti. Nei giorni scorsi lo hanno presentato al Ministro della Salute e al Commissario per l’Emergenza con reazioni favorevoli, speriamo in una rapida implementazione.
I vaccini però da soli non bastano: per la sua contagiosità e per il fatto che è difficile raggiungere la copertura vaccinale del 90/95% che consentirebbe di ottenere un’immunità di popolazione, è necessario adottare tutte le cautele comportamentali e istituzionali finalizzate a evitare un’ulteriore ondata epidemica. Da un punto di vista individuale, il rispetto della distanza di sicurezza, il lavaggio e la disinfezione delle mani e l’utilizzo della mascherina quando non è possibile garantire la distanza, sia all’aperto, ma soprattutto al chiuso, sono pilastri comportamentali che ci accompagneranno anche nella seconda parte dell’anno e che non vanno abbandonati con superficialità. Il ripristino dell’uso delle mascherine in Israele dopo l’illusione di aver sconfitto definitivamente il virus con la più efficace campagna vaccinale al mondo sono li a confermarlo.
Un altro nodo è istituzionale: fino a quando le vaccinazioni non verranno garantite alla maggior parte della popolazione mondiale non vi sarà sicurezza neanche per i Paesi che hanno elevati livelli di copertura, e questo non riguarda solo i Paesi asiatici e africani, ma anche, ad esempio gli Stati Uniti, in cui nonostante gli sforzi dell’amministrazione presidenziale, la campagna vaccinale non marcia come voluto, per la resistenza ideologica di una frangia non marginale di cittadini. Per questo è importante l’approvazione del Green Pass da parte della Commissione che consentirà la circolazione in sicurezza dal 1 luglio in tutta l’Unione Europea, ma è rilevante anche la tempestività con cui i singoli Stati agiranno per limitare l’arrivo di varianti da Paesi extraeuropei. L’ultimo dei ripetuti errori del Governo britannico è stato quello di consentire per ben due settimane dopo l’esplosione della catastrofe indiana l’arrivo di cittadini da quel Paese e la conseguente ondata epidemica che sta compromettendo le strategie di riapertura prospettate dopo la massiccia campagna vaccinale. Dobbiamo evitare che questo succeda anche da noi, consentendo l’ingresso solo a cittadini vaccinati, guariti dalla malattia o certamente negativi e vigilando che questo avvenga anche nelle nostre città e località di vacanza. Se derogassimo a questi princìpi e a queste pratiche operative vedremmo una ripartenza dell’epidemia anche prima della fine dell’estate: dobbiamo assolutamente evitarlo.
L’evoluzione della pandemia in Italia, se saremo bravi nell’intensificare la campagna vaccinale e nel non allentare troppo presto le cautele, potrebbe essere caratterizzata da una situazione di gestibile endemia, di presenza cioè di un costante numero di casi, piuttosto basso, che non provoca problemi sistemici di pressione e ingolfamento dei servizi sanitari, e come tale affrontabile in un contesto di vita sociale e lavorativa pressoché normali.
Ultimo punto, ma non per importanza, è la capacità del nostro Paese di prepararsi a prevenire future pandemie e a garantire ai propri cittadini un sistema sanitario in grado di promuovere e mantenere buone condizioni di salute individuali e collettive. La recente approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza è un buon punto di partenza, ma non basta, i problemi della sanità italiana sono ormai strutturali e non basta l’attribuzione di risorse aggiuntive, ma vi è la necessità di una riforma che affronti i nodi cruciali del finanziamento e del funzionamento del Servizio sanitario nazionale. Ma questa è un’altra storia di cui avremo modo di parlare a lungo nel prossimo futuro.