Nel vocabolario post-Torri Gemelle è diventato di uso sempre più frequente il termine "cellula dormiente". A indicare una categoria specifica di terroristi, che si mimetizzano, si preparano nel più totale anonimato, quasi sempre ammantato da una veste di normalità assoluta, indistinguibile dalla cosiddetta comunità civile. Questo ha prodotto effetti sull’immaginario collettivo, a volte distorto dalla presunta epicità di queste figure che riescono a far convivere dentro un contenitore sostanzialmente vuoto, terrore e banalità. Cellula dormiente, lupo solitario, rischiano di diventare per alcuni le figure leggendarie di una storia che in realtà ha come fulcro esclusivamente il disprezzo per la vita umana, forse anche la propria, ma questa non è una attenuante.I fatti di Hanau, teatro del delirio di Tobias Rathjen, sembrano delineare conclusioni etiche precise, in cui si traccia facilmente il confine tra il mostro e la società civile. Lupo solitario? Cellula dormiente di un pensiero neonazista che aleggia in tutta Europa? In ogni caso i giudizi sembrano netti, decisi e precisi. Non di rado è solo apparenza. Per una serie di ragioni. La più evidente è l’utilizzo del "mostro", ormai tradizione consolidata , per portare acqua al proprio mulino ideologico, con commenti che gridano vendetta al cospetto di ogni barlume di intelligenza e coscienza critica. La banalità del mostro trova il suo perfetto corrispettivo nella banalità dello scandalo.
Ma una ragione più profonda della pretestuosità di molte delle reazioni che vediamo sbandierare qua e là è proprio nel termine "dormiente". Forse nel caso di Tobias Rathjen dormiente non è preciso, il suo evidente disagio psichico si potrebbe meglio definire "latente". Ma credo si possa comunque usare. Il soggetto era una bomba ad orologeria pronta a scoppiare al primo definitivo squilibrio delle sue giornate investite di una allucinazione filohitleriana e xenofoba, pur se sganciata dall’appartenenza a un qualche gruppo, che è veramente impossibile comprendere. Dormiente. Qui è il punto. I dormienti non sono solo Tobias Rathjen, o Anders Breivik o qualche altro individuo sparso qua e là. Dormienti sono una intera parte della società. Una massa consistente che, per propria ignavia, non vede l’ora di canalizzare la propria frustrazione nell’unica risposta che crede di trovare: la negazione e in alcuni casi la distruzione dell’altro, del diverso. Basta vedere i rigurgiti di odio che produce non appena si forma un canale che ne permetta l’esondazione. Non appena qualche personaggio in cerca d’autore comprende come utilizzarli per un consenso anche temporaneo. Ne è piena la cronaca di tutti giorni. Se i fatti come Hanau non ci fanno aprire gli occhi su quanto la mostruosità è di fatto vicina di casa, su come l’essere dormienti è una malattia che in toto o in parte rischia di prendere anche noi, non si farà un solo passo verso il miglioramento della situazione.
La malattia che si nasconde in questo sonno apparente è infida. Viene negata anche di fronte ai sintomi più pesanti anche da chi ne fa strumento evidente di propaganda, fino a che non diventa conclamata. Ma allora è troppo tardi. Si finisce per contare morti e feriti. Gli appelli, che ormai non trovano più neanche parole originali, non servono a nulla se si basa il proprio programma politico o semplicemente la propria vita su un qualunque punto che conceda anche un solo millimetro alla sopraffazione e al disprezzo. Non è paranoia. È senso della realtà, non mascherata dalla ipocrisia colpevole e diffusa grazie a cui tutti i dormienti di questo mondo aspirano farsi divinità di morte e scaricare sulla negazione dell’altro tutta la frustrazione dei propri sogni malati.