La provocazione su Cristo che colpisce i più tolleranti
giovedì 2 dicembre 2021

L’intento provocatorio è talmente scoperto da risultare banale. E proprio per questo, forse, non varrebbe la pena di scriverne per non "abboccare", cedendo al meccanismo costituito da provocazione-critica-rivendicazione della libertà d’espressione-pubblicità gratuita. Tuttavia, neppure si può far finta di niente sui manifesti che tappezzano la città per pubblicizzare il nuovo album di un rapper per l’occasione nelle vesti di Cristo coronato di spine.

Il volto e il disco sono quelli di Gué Pequeno – ora autoribattezzatosi solo Gué, giacché a 41 anni non si è più tanto pequeni (in spagnolo pequeño vuol dire piccolo). Un cantante e autore che ha preso troppo sul serio il fatto di condividere il giorno del compleanno con nostro Signore. Tanto da pensare di calarsi nella parte effigiandosi come il Nazareno. Non nella grotta della Natività, ma il giorno della Passione, con tanto di scritta "Guesus", crasi tra Gué appunto e Jesus nonché titolo dell’album di cui ignoreremo il contenuto fino al giorno di uscita, il 10 dicembre.

Il poster di Guesus

Il poster di Guesus - .

Beninteso, la provocazione è essenza stessa dell’arte, serve a suscitare emozioni e a far riflettere. Il rap o la trap non fanno eccezione, per quanto in questi generi essa sia veicolata soprattutto attraverso termini volgari. Qui, però, in attesa di poter ascoltare le canzoni e leggerne i testi, la provocazione pare somigliare più a una furbetta, fastidiosa e un po’ offensiva campagna di marketing. Anche questa non è certo una novità, almeno dagli anni 70 del secolo scorso con lo slogan "Chi mi ama mi segua" per pubblicizzare una marca di jeans, passando per la cantante Madonna negli 80 e via dissacrando. Solo che il giochino della dissacrazione, nella società totalmente laica e piuttosto scristianizzata di oggi, rischia non solo di risultare offensiva per coloro che credono che di Cristo ce ne sia solo uno e che non sia il caso di sbeffeggiarlo invano.

Ma, paradossalmente, di colpire quella che oggi è una minoranza, consistente ma minoranza: appunto i cristiani. Fossero colpite altre minoranze, se ne rappresentassero in modo distorto i riferimenti di fede, o si ritenesse quelle rappresentazioni offensive e discriminatorie, Gué rischierebbe la vita in qualche caso, una condanna in altri. Se questo non avviene per le provocazioni artistiche e per le impersonificazioni distorte di Cristo, ciò si deve proprio a quello stesso Gesù che per primo liberò l’uomo dall’idea che si dovesse essere lapidati per aver commesso un peccato, trasgredito a una legge, religiosa o laica che fosse. Dunque, non fosse altro che per gratitudine per questa libertà, un po’ più di rispetto non guasterebbe.

Le provocazioni, dicevamo, sono essenza dell’arte e pure del rap. Ma tra un urticante "Guesus" e un Fedez – che "beffa" politici e giornalisti giocando su una (finta) discesa in campo – noi ne preferiamo un altro, Marracash, tra l’altro amico e collaboratore dello stesso Gué. Non è certo un baciapile, ma nel suo ultimo album la provocazione intelligente l’ha messa direttamente nei testi delle canzoni:

"Oggi che possiamo rivendicare di essere bianchi, neri, gialli, verdi /
O di essere cis, gay, bi, trans o non avere un genere /
Non possiamo ancora essere poveri /
Perché tutto è inclusivo a parte i posti esclusivi, no? /
Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità /
Abbiamo perso di vista quella collettiva /
L’abbiamo frammentata /
Noi, loro e gli altri /
Persone".

Persone, appunto, con le proprie fedi e sensibilità di cui tener conto con rispetto, soprattutto quando sono minoranza.

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