Sono finite le parole necessarie a descrivere la portata della catastrofe umanitaria che si consuma a Gaza, in Sudan, in Ucraina, da quando il nuovo regime di warfare ha soppiantato la grande narrazione dello sviluppo sostenibile. Sentiamo l’acuminata impotenza delle parole di fronte alla violenza ridondante, fine a sé stessa, che distingue questa pagina della storia contemporanea, trafitta dall’impotenza del diritto internazionale.
Uno degli aspetti meno conosciuti dei conflitti in corso, e solo di recente studiati con attenzione, riguarda il fatto che batteri, funghi e altri patogeni hanno il sopravvento quando imperversa il mestiere delle armi, che oggi affligge 2,4 miliardi di persone nel mondo, secondo recenti stime dell’Onu. Le guerre sono pertanto uno dei più potenti veicoli di resistenza antimicrobica (Amr), cioè la diffusione incontrollata di batteri, funghi e parassiti che evolvono in modo da sviluppare immunità a tutti i farmaci esistenti, inclusi gli antibiotici, per prevenire e curare le infezioni. La rovina umana ed ambientale causata dalle azioni belliche – bombardamenti indiscriminati, abbattimenti di case e palazzi, di siti industriali e strutture fognarie, di infrastrutture sanitarie, insieme alla fuga forzata e in massa di popolazioni in condizioni di estrema precarietà – si trasforma in un implacabile bio-incubatore di resistenza antimicrobica. Il trasferimento di geni e batteri è un processo biologico assolutamente naturale e necessario tra umani e animali che convivono negli stessi ecosistemi. Il problema è che questo fenomeno è letteralmente sfuggito di controllo, alterato da una miriade di interventi antropogenici legati al delirante modello di sviluppo della globalizzazione. I conflitti armati sono purtroppo una componente organica di questo sistema.
La resistenza antimicrobica si staglia come scenario tra i più sfidanti per la salute pubblica globale. È una pandemia silente, a fronte della quale la stessa emergenza da Covid si configura come una crisi tutto sommato gestibile. Come ebbe a dire nel 2015 Margaret Chan, allora direttrice della Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la resistenza antimicrobica rischia di “segnare la fine della medicina moderna come oggi la conosciamo”. Secondo The Lancet, se non invertiamo la rotta, l’umanità potrebbe ritrovarsi in un’era pre-penicillina. La portata sistemica del problema resta largamente sottovalutata. La narrazione è sviata da interpretazioni assai riduzioniste asservite gli interessi finanziari in campo, riluttanti a cambiare rotta pur se coinvolti nelle politiche globali per affrontare il problema.
Ma torniamo ai conflitti armati. La scienza ha rintracciato per la prima volta la connessione tra guerre e Amr osservando gli impatti della devastazione in Iraq. Il batterio multi-resistente Acinetobacter baumanii complex fu identificato con coerente rilevanza tra il personale militare americano e inglese reduce dalle missioni in Iraq, e poi in Afghanistan. Personale militare e civile trasferito dalla Libia in Germania ha fatto riscontrare lo stesso fenomeno. La ricerca sugli scenari di guerra rivela che i metalli pesanti usati per gli involucri di bombe e proiettili, missili, veicoli militari - soprattutto zinco, piombo, mercurio, cromo, ma anche antimonio e bario – nonché quelli rilasciati dalla distruzione degli edifici sono facili induttori di resistenza antimicrobica. La natura stessa e la diffusione di malattie infettive, si può dire, è radicalmente trasformata dall’esistenza dei recenti conflitti armati, indirizzati a colpire soprattutto civili in aree densamente popolate, sì da indurre massicci movimenti di persone. Gli attacchi sistematici ai presidi e al personale sanitario in questi contesti rendono impossibile la gestione dei pazienti, e la loro stabilizzazione. Costoro vengono dimessi con ferite aperte, costretti a far spazio ad altre ondate di vittime sopravvissute al lancio di droni e missili. Dopo 11 mesi di bombardamenti, e nell’impossibilità per la popolazione di lasciare la striscia, Gaza è divenuta un micidiale focolaio di batteri intrattabili, con i resti umani e le carcasse animali per le strade, l’odore fermentato dell’aria, la forte contaminazione ambientale, la imposta assenza di acqua e cibo. Mancano completamente i laboratori per la identificazione dei microrganismi resistenti, per non parlare poi degli antibiotici. Moltissime delle amputazioni, soprattutto fra i bambini, sono correlate al crescente fenomeno della resistenza batterica.
I microrganismi, del resto, non conoscono confini geopolitici, non distinguono fra ragioni e torti della guerra, anzi nel caos bellico rafforzano la capacità di diffondersi, anche nei paesi limitrofi ai siti dei combattimenti. Non c’è tecnologia di esercito che possa fermarli. La propagazione della resistenza riguarda oggi Israele, la Giordania, il Libano. In Ucraina, i dati sulla resistenza antimicrobica collegata al conflitto non sono mai stati pubblicati, ma il problema era già serio ben prima dell’invasione russa nel 2022, a causa dei combattimenti nelle regioni orientali dal 2014. L’invasione russa ha ridotto il paese a una vasta riserva di infezioni Gram-negativo multi-resistenti. Non possiamo escludere che l’escalation della guerra non abbia ricadute sanitarie nella stessa Russia, lungo i confini caucasici, nei paesi europei confinanti.
Forse lo spillover è già cominciato, dice sottovoce Hanan Balkly, specialista dell’Oms.