Don Mattia Ferrari a bordo di Mare Jonio, Mediterranea, Rescue Med
Caro direttore,
sono notizie che non ci escono dalla testa: una donna e il suo bambino morti in mare mentre cercavano di arrivare in Europa. 25 persone disperse, 73 e 85 persone 'salvate' dalla Guardia costiera libica e quindi, detta in termini reali: respinte e riportate tra i tormenti dalle milizie libiche. Questa tragedia mi ha fatto risuonare nel cuore la poesia 'Se questo è un uomo'. Mi domando: cosa direbbe Primo Levi, che aveva chiesto a tutti noi di non dimenticare quello che è stato e di non permettere che si ripetesse? Lui si era rivolto a tutti noi che stiamo sicuri nelle nostre case, che troviamo tornando a sera il cibo caldo e visi amici, e ci aveva ammonito: «Meditate che questo è stato:/ vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/ stando in casa andando per via,/ coricandovi, alzandovi./ Ripetetele ai vostri figli». Cosa direbbe oggi Primo Levi? Penso che la risposta la sappiamo tutti nei nostri cuori. Eppure continuiamo a stare zitti, colpevolmente silenziosi, davanti a queste tragedie che continuano a ripetersi. Siamo risucchiati nella «globalizzazione dell’indifferenza », che papa Francesco continuamente denuncia.
Non abbiamo colto il monito lanciato l’estate scorsa dall’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice: «Se settant’anni fa si poté invocare una mancanza di informazione, oggi no. Non lo possiamo fare, perché ci sono le prove». E quante volte 'Avvenire' ha raccolto, documentato e raccontato quello che accade nell’inferno dei profughi. Mi sento di fare un augurio a tutti quanti: che tutti possano guardare negli occhi questi fratelli e sorelle che arrivano attraverso il mare. Non dimenticherò mai il grido delle 30 persone migranti che abbiamo soccorso con la 'Mare Jonio' il 9 maggio scorso quando Maso Notarianni, il nostro incaricato di approcciarli per primo, ha chiesto loro: «Where are you from? » (da dove venite?).
La risposta è stata: «From the hell » (dall’inferno). Così come non dimenticherò mai l’espressione di Alima, la bambina che abbiamo salvato insieme ai suoi genitori. Il suo sguardo, inizialmente perso e poi apertosi a quella gioia tipica dei bambini, quando il nostro ufficiale Davide Di Nicola l’ha fatta ridere con una pernacchia, è rimasto impresso nei cuori di tutti noi e, tramite le foto, ha commosso centinaia di migliaia di persone. Ebbene, pensare che poche ore fa quelle persone, costrette a lasciare l’Africa della quale, come ha detto Lorefice, «siamo noi i predoni», persone che fuggivano dall’inferno proprio come quelle che abbiamo salvato noi, sono state deportate in Libia e che un bambino come Alima è morto insieme a sua madre, annegati solo perché non c’era nessuno a salvarli, è inaccettabile. E mi fa risuonare nel cuore il grido dei giusti nell’Apocalisse: «Fino a quando, Signore, lo permetterai?». Ma sento nel cuore anche che il Signore ci risponde e ci interroga: «Fino a quando, uomini, lo permetterete?».
Le tragedie infatti non avvengono per caso, ma per colpe ben precise degli uomini. E siamo noi che assistiamo indifferenti alla morte di queste persone e alla loro deportazione in Libia senza protestare con i potenti della terra. Fino a quando lo permetteremo? Per fortuna ci sono persone che hanno deciso di non accettare tutto questo, di levarsi e di mettersi in gioco direttamente per salvare queste vite. Prego che 'Sea Watch', 'Open Arms', 'Mare Jonio' e tutti gli altri possano tornare presto a compiere la loro missione in mare. E prego anche per tutti coloro che sono colpevoli di questo sangue, perché si convertano e si possano redimere per questi gravi crimini. Prego infine per tutti noi, perché possiamo finalmente capire che il senso della nostra vita lo troviamo solo amando, nell’amore verso tutti e soprattutto verso chi è solo e abbandonato. In gioco infatti non c’è soltanto la vita di queste persone: c’è il senso della vita di tutti. Nessuno escluso.
Sacerdote, già imbarcato sulla 'Mare Jonio'