«La maggior parte delle vittime di coronavirus ha più di 80 anni». «I morti sono morti, sì, ma avevano altre patologie». «La percentuale di deceduti sotto i 60 anni è molto bassa. Chi è sano rischia meno di morire».
Il bollettino di guerra quotidiano sui nuovi contagiati, i nuovi decessi e il numero di guariti, le tendenze locali nella diffusione del virus, gli allarmi sulle terapie intensive quasi sature, le previsioni sul “picco”, tutto questo è diventato un appuntamento quotidiano al quale ci stiamo abituando. I tentativi di rassicurazione dovrebbero forse trovare forme migliori.
Perché insistere sugli anziani che muoiono di più? Tanti genitori e nonni hanno più di 80 anni: solleva sapere che a morire sono, e potrebbero essere, soprattutto loro? I nipoti piangono già la sera nei loro letti: chi li porterà agli allenamenti di calcio? Chi li andrà a prendere a scuola? Chi farà loro la polenta la domenica? Sono i vecchi a morire in numero maggiore, ma non è così vero: muoiono i giovani, muoiono gli sportivi, muoiono persone di mezza età. L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha detto: «Giovani, attenti, non siete invincibili».
È così. Ma da quando si è deciso di fare tamponi solo ai malati gravi questo messaggio è venuto meno. E i giovani hanno continuato a correre. Quello che passa è, allora, che i sani resistono, i più fragili se ne vanno. I vecchi. E un altro messaggio si radica: i deceduti avevano altre patologie, cioè muoiono “con” il coronavirus, non “di” coronavirus. Già. Solo che spesso il morbo aggiuntivo è l’ipertensione, altre la cardiopatia, altre ancora il diabete. Si poteva vivere ancora insomma, e bene, senza il coronavirus. Angoscia pensare a cosa potremmo diventare, col tempo, se non avremo saputo mettere un filtro di umanità al diluvio di rassicurazioni della comunicazione pubblica (e privata).
«Era anziano», «era già malato»: saranno ancora modi per diluire una sofferenza, aggiungendo una preghiera, o diventeranno la scusa per assolvere una coscienza indurita dall’abitudine e dalla crisi della compassione? Il coronavirus si prende gioco della nostra ossessione per l’età, della paura d’invecchiare: sceglie i sani come veicolo, per colpire meglio. Il sollievo allora non è sapere ogni sera che se ne sono andati in percentuale maggiore i più deboli, ma che stiamo combattendo al 100% tutti insieme, e che solo così ci salveremo.