Papa Francesco ha una spiccata capacità di saper interpretare i segni dei tempi. Questo si evince, ad esempio, leggendo il primo capitolo della recente enciclica Fratelli tutti in cui manifesta apertamente l’ermeneutica del Concilio rispetto al fluire della Storia. Ecco che allora la liberazione di padre Pierluigi Mencalli, sacerdote della Società Missioni Africane (Sma), avvenuta giovedì scorso, esige da parte della realtà ecclesiale italiana un serio discernimento. Non solo perché questo evento provvidenzialmente avviene a pochi giorni dalla promulgazione del documento pontificio, ma anche perché il fatto in se stesso del rilascio di questo missionario risponde a quelle che sono le istanze di tanti credenti e per certi versi dell’intera società civile nel nostro Paese. Andiamo con ordine. La Lettera enciclica che papa Bergoglio ha indirizzato al mondo intero esprime a chiare lettere i valori della pace, della giustizia, della condivisione, della solidarietà, della difesa dell’ambiente... Ma non in modo astratto! Leggendo Fratelli tutti, ci si sente chiamati a una decisa assunzione di responsabilità, sia sul piano individuale sia su quello collettivo, di fronte a nuove tendenze ed esigenze della società contemporanea. Il ruolo effettivo della fraternità è «dirompente» poiché, come ha commentato il cardinale Pietro Parolin, «si lega a concetti nuovi che sostituiscono la pace con gli operatori di pace, lo sviluppo con i cooperanti, il rispetto dei diritti con l’attenzione alle esigenze di ogni prossimo, sia esso persona, popolo o comunità». La testimonianza di padre Maccalli da questo punto di vista è, a sua volta, davvero «dirompente» se si pensa che egli non solo ha fatto la scelta di stare dalla parte degli ultimi in un contesto, quello saheliano, segnato da morte e distruzione, ma anche che ha vissuto l’esperienza della reclusione nelle mani dei jihadisti affermando nei fatti la parresia, il coraggio di osare in nome di un’amore più grande.
In una stagione come quella che stiamo attraversando, segnata anche da scandali e fatti incresciosi che riguardano alcune componenti del nostro tessuto ecclesiale, la buona notizia dell’agognato rilascio di padre Maccalli travalica la sua stessa liberazione. Il fatto cioè che oggi vi siano, nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro povero mondo, uomini del suo calibro umano e spirituale, che silenziosamente, lontano da ogni tribuna mediatica, rendono intelligibili ai poveri e a tutti i valori del Regno di Dio, ci conferma nella fede. Questo non significa sottovalutare gli scandali finanziari che hanno travolto alcuni ecclesiastici e che campeggiano sulle prime pagine dei giornali. Ma guai a fare di tutta l’erba un fascio. Dobbiamo guardare al bene. C’è un mondo sommerso di sentinelle del mattino, di missionari e missionarie che rappresentano non solo il valore aggiunto della Chiesa italiana, ma anche della nostra società civile. Sono loro, più di altri, a farci comprendere che, per quanto possano essere evidenti certe debolezze del sistema, il bene c’è, resiste ed è senza confini.
È bene rammentare, inoltre, che forse mai come oggi occorre dare voce a chi voce non ha. Sarà mai possibile che – a parte questo giornale, che grazie al suo Dna redazionale ha una spiccata propensione a raccontare l’attualità africana e del Sud del Mondo – di Niger o di Mali si debba solitamente parlare nel nostro Paese solo in concomitanza con il sequestro o la liberazione di nostri missionari (o altri connazionali)? Non possiamo accontentarci delle risposte di comodo. Serve un’informazione attenta a tutta la Terra e ai popoli che la abitano, capace di far conoscere e capire le sue tante anime, le sue contraddizioni, le sue speranze. E soprattutto di queste anche noi abbiamo grande bisogno.