Uno, Roberto Mancini, ha restituito all’Italia quello che più le mancava: un gioco e uno spirito di squadra. L’altro, Gigio Donnarumma, ha chiuso a chiave la porta per conservare i risultati. Sono indubbiamente loro i primi protagonisti di un romanzo di sole pagine chiare, dove qualcosa rimane per sempre insieme al rimmel che cola misto alle lacrimucce che fanno sentire tutti parte di una cosa bella.
Ora ovviamente chiunque sale sul carro: 'abbiamo vinto' è il verbo che si declina quando non si dice che 'hanno perso'. E la memoria sfuma, cancella i giudizi di prima, fa riappropriare di personaggi da cui tanti, se non tutti, avevano preso le distanze. Prendete Mancini, l’eroe nazione di oggi che ha fatto qualcosa di impensabile cancellando la complessità, chiedendo alla sua squadra solo di giocare a calcio, pensando il giusto, complicando poco e correndo molto. Ecco, l’architetto della semplicità che ora per tutti è il più grande uomo d’Italia, è stato per anni il talento più piccolo e bistrattato, personaggio considerato ingestibile e immaturo. Uno dei più grandi numeri 10 del nostro calcio che la Nazionale però, da giocatore, l’ha frequentata davvero poco, al punto da non aver giocato nemmeno un minuto in un Mondiale. Certo, si cresce e si cambia, ma non è questo il caso. Specie se eri già grande prima.
Vero: solo gli stupidi non cambiano mai idea. Ma dimenticarsi di come si parlava (male) di una persona ieri perché ha vinto (bene) oggi, è ipocrita e scorretto: insegna soprattutto quanto sia sempre meglio evitare di giudicare senza conoscere, di fermarsi alla schiuma senza guardare quello che c’è sotto. E di sentenziare senza essere giudici, perché è facile diventare carnefici. Donnarumma poi allarga ancora di più questa ferita.
Stamattina siamo tutti portieri, tutti gialli come lui, tutti alti, belli e con le manone grandi. Come lui che fino a prima dell’Europeo tutti chiamavano 'Dollarumma', il ragazzo che si è venduto l’anima per soldi, che ha abbandonato la sua squadra per inseguire un ingaggio migliore all’estero, il figliolo per niente prodigo costruito da un procuratore spietato e senza scrupoli. Il peggio insomma. Che una manciata di rigori ha trasformato nel meglio: un angelo in terra. Probabilmente invece non c’erano diavoli prima, e non ci sono cherubini adesso. Il calcio distrugge e celebra, il gioco delle parti fa il resto. L’equilibrio, quello sì, è l’unica cosa che ci rende migliori, come la Nazionale del Mancio e di Gigio dimostra. Se solo riuscissimo a farne scorta, almeno fino alla prossima partita.