«Pound non è potuto divenire mai, esplicitamente, appannaggio delle Destre; la sua altissima cultura (...) l’ha preservato da una strumentalizzazione sfacciata: il serpentaccio fascista non ha potuto ingoiare questo spropositato agnello pasquale». Mai profezia fu tanto clamorosamente sbagliata. Una delle pochissime per un autore noto per le sue profezie azzeccate, per il suo saper guardare sempre più avanti e più lucidamente degli altri: Pier Paolo Pasolini. Scrive queste parole sul settimanale Tempo del 16 dicembre 1973.
Sei anni prima aveva realizzato uno straordinario documentario televisivo, Un’ora con Ezra Pound, facendo parlare il poeta ormai 82enne che non aveva mai aperto bocca dal 1958, quando era tornato in Italia dagli Usa. Pound, sciaguratamente e con buona pace del suo estimatore Pasolini, è oggi l’icona stonata di una destra che si rifà esplicitamente al fascismo e al nazismo, e gli ha rubato il nome. Ha provato a fermarla sei anni fa Mary de Racheniltz, la figlia del poeta, con una denuncia per uso improprio del cognome. «Il fascismo di mio padre – ha detto – è legato a un preciso periodo storico e culturale».
Già, ma che razza di 'fascista' fu Ezra Pound? Dimenticatevi altri poeti e artisti simpatizzanti, come D’Annunzio o Marinetti, comunque matrimoni d’interesse o brevi idilli. Pound – è lo stesso Pasolini a spiegarcelo – rimpiangeva l’America rurale dei padri fondatori. Indossando i panni dell’economista, si scagliava contro quella che chiamava «usura», il denaro che produce altro denaro, lo strapotere delle banche: «Nel denaro – diceva – è la natura dell’ingiustizia». Detestava tanto il capitalismo quanto il marxismo e – nella felice confusione contraddittoria di cui forse solo un poeta fanciullo può essere capace, un poeta e non un filosofo o un ideologo – ogni totalitarismo.
Non amava neanche la democrazia, perché ridotta a «usurocrazia» e «daneicrazia». Non era antisemita, anzi. Il fascismo? Andava bene solo in Italia, Paese che lui vedeva felicemente contadino. È vero, sostenne Mussolini fino ai suoi ultimi minuti con una sciagurata testardaggine, forse solo per disprezzo nei confronti del «corrotto Badoglio».
E pagò, eccome se pagò. Prima, nel 1945, già sessantenne, consegnato dai partigiani agli americani, finì al Disciplinary Training Center di Pisa, una sorta di Guantanamo, rinchiuso in una cella sempre illuminata, costretto a dormire sul pavimento di cemento, e dove pure compose i suoi Cantos migliori. Negli Usa fu rinchiuso, senza vera perizia medica né vero processo, forse solo per imbarazzo, per 13 anni nel manicomio criminale di Washington. Ne uscì vecchio, distrutto. Fascista? Hemingway lo soccorse. Eliot lo amava. Di Pasolini abbiamo detto. I suoi Cantos sono forse la poesia più alta del secolo. Non gli diedero il Nobel a causa del suo passato imbarazzante. Ma che cosa c’entra con i crani rasati e le croci celtiche e il mito della forza e della razza uno che scrive: «Nessun paese può sopprimere la verità e vivere bene»? Oppure: «Non puoi fare una buona economia con una cattiva etica»? La figlia Mary ha perso la causa. Pound è ormai proprietà privata di individui che forse non hanno mai letto una sola sua lirica.
Chi urla quegli slogan, come potrebbe apprezzare versi come questi, dedicati alla Venezia dove Pound riposa per sempre? «Sì, la gloria dell’ombra / della tua Bellezza ha camminato / Sull’ombra delle acque. / In questa tua Venezia. / E dinanzi alla santità / Dell’ombra della tua ancella / Mi sono coperto gli occhi, / O Dio delle acque. / O Dio del silenzio» ( Litania notturna ). «Un altro modo di metterlo in gabbia» ha commentato Mary la sentenza. Giù le manacce da Ezra Pound, verrebbe da dire. Se servisse a qualcosa.