La ricchezza delle famiglie italiane ammontava a 4.446 miliardi nel 2019, il 170% del debito pubblico e il 270% del Pil. Un tema ricorrente nel dibattito economico è il sogno di mobilizzare quest’enorme massa di risorse finanziarie per la rinascita del Paese. Un terzo della ricchezza è parcheggiato nei conti correnti e nei depositi bancari (di fatto oggi a rendimento reale zero o negativo). Una recente indagine Aipb/Censis rileva che il 35,3% dei risparmiatori sarebbe disposto ad investirla in infrastrutture preziose per il Paese.
L’introduzione dei Pir (Piani Individuali di Risparmio) ha tentato di rendere concreto il sogno di collegare ricchezza e investimenti ma è di fatto naufragata due volte. Nella prima versione i Pir hanno raccolto somme di risparmio ragguardevoli promettendo ai sottoscrittori cinque anni di esenzioni fiscali sui guadagni in conto capitale e vincolando una parte consistente (21%) degli investimenti all’acquisto di azioni di aziende italiane di medio-piccole dimensioni (non quotate sulla Borsa principale). L’esiguità del numero di imprese medio-piccole quotate rispetto ai fondi raccolti ha gonfiato i valori azionari di un numero ristretto di titoli, fallendo l’obiettivo di finanziare l’investimento della stragrande maggioranza delle imprese del nostro Paese che non sono quotate in Borsa. La successiva riforma, cercando di superare questo problema, ha poi vincolato l’utilizzo del Pir a una quota d’investimento obbligatoria in imprese non quotate e si è scontrata con la carenza dell’offerta.
Non essendo infatti possibile e troppo rischioso investire in singole imprese non quotate, l’operazione diventa possibile solo attraverso il veicolo di fondi chiusi e fondi impact che sono però carenti sul mercato. È per superare questi limiti che nasce di recente la proposta di creare un fondo sovrano italiano, sulla scia di quelli esistenti in molte nazioni (Norvegia, Paesi del Golfo arabo, ecc.). Se il problema infatti è la carenza di offerta di veicoli per l’investimento in imprese non quotate la soluzione, per essere efficace, deve ricomprendere la creazione di un veicolo del genere. Negli altri Paesi la nascita dei fondi sovrani è collegata quasi sempre all’esigenza di investire i proventi di rendite petrolifere o da materie prime.
Nel caso italiano l’obiettivo sarebbe invece quello di creare un canale che colleghi la più grande risorsa che abbiamo (la ricchezza delle nostre famiglie) con il nostro mondo produttivo. Da un punto di vista della costruzione dello strumento, la proposta di Sestino Giacomoni presidente della commissione di vigilanza su Cassa Depositi e Prestiti, trasformata in emendamento approvato dal Senato, consiste nella possibilità per i singoli risparmiatori di investire direttamente nei veicoli che la stessa Cassa Depositi e Prestiti usa per investire nel Paese.
E, in particolare, come da sua storica vocazione, nelle infrastrutture e nelle reti. La domanda fondamentale da porsi se vogliamo capire se un tale tentativo potrebbe avere successo è se il fondo sovrano italiano propone al risparmiatore nostrano un investimento originale e appetibile se valutato nello spazio delle tre dimensioni fondamentali solitamente considerate (il rendimento, il rischio e la liquidità, ovvero la disponibilità immediata o differita del denaro investito quando il risparmiatore ha intenzione di ritirarlo). Convenzionalmente i fondi chiusi si collocano all’estremo su tutte e tre queste dimensioni offrendo occasioni d’investimento potenzialmente ad alto rendimento, alto rischio e bassa liquidità (i soldi investiti non possono essere prelevati se non dopo un congruo intervallo di tempo nell’ottica di investimento di lungo periodo).
In più, il fondo sovrano offrirebbe la caratteristica non strettamente finanziaria (diremmo “patriottica”) di un investimento nel progresso del proprio Paese, caratteristica per la quale i risparmiatori italiani potrebbero avere una qualche preferenza e disponibilità a pagare. Si tratta di vedere quanto questo quarto e ultimo fattore potrebbe contribuire a spingere una quota (e quale) del risparmio delle famiglie a dirigersi verso un impiego comunque ad alto rischio che non pare nelle corde della maggioranza dei nostri risparmiatori. Un’alternativa possibile ci sarebbe. Il fondo sovrano potrebbe offrire una rendita garantita, ovvero un rendimento definito e stabile (quindi sobbarcandosi totalmente il rischio) in cambio di un certo grado di illiquidità (ad esempio risparmi non ritirabili prima di 2–3 anni) e di una copertura dei propri costi di assicurazione dal rischio. Combinando il principio di impegno per il Paese con la forte riduzione del rischio e con rendimenti anche non particolarmente elevati si creerebbe forse uno spazio interessante e nuovo capace di attrarre una quota consistente di risparmiatori italiani.