C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole? Le conclusioni di alcune vicende giudiziarie che avevano investito persone che si erano attivate per il salvataggio di migranti fanno sperare che si stia affermando una nuova giurisprudenza che smantella quello che anche e soprattutto sulle pagine di questo giornale è stato chiamato il "reato di solidarietà".
Dapprima, la richiesta di archiviazione della procura di Agrigento per l’equipaggio del rimorchiatore "Mare Jonio", che il 10 maggio 2019, come recitava il capo di accusa, aveva «procurato illegalmente l’ingresso nel territorio italiano di 30 cittadini extracomunitari». Archiviazione motivata dal fatto che «per le attività di salvataggio di vite umane in mare» non è necessaria la "patente" di nave di soccorso e che chiunque compia nel Mediterraneo operazioni umanitarie non deve coordinarsi con i guardiacoste libici e tantomeno rimettere i naufraghi nelle loro mani.
Poi, ancora su richiesta del pm di Agrigento, la decisione del giudice delle indagini preliminari di archiviare l’inchiesta contro il comandante della "Sea Watch", Arturo Centore che, sempre nel maggio 2019, aveva portato a Lampedusa la nave con a bordo 65 migranti raccolti in mare. «Per salvare vite umane rifarei tutto quanto», aveva immediatamente dichiarato Centore nel suo interrogatorio. E, due anni dopo, il giudice gli ha dato ragione, affermando che i soccorritori agiscono non per favorire l’immigrazione clandestina (questo era il reato contestato), ma perché adempiono «ai doveri previsti dalle fonti nazionali e sovranazionali, che impongono agli Stati e ai comandanti delle imbarcazioni tutte, pubbliche e private, il salvataggio delle vite umane in mare».
Infine, pochi giorni fa, il gip di Bologna ha archiviato l’accusa di far parte di una «rete internazionale di trafficanti di persone» rivolta alla coppia di volontari Lorena Fornasir e Andrea Franchi che da anni, davanti alla stazione di Trieste, soccorrono i superstiti della "rotta balcanica". L’accusa si focalizzava sull’ospitalità data in casa propria, per una notte, a una famiglia con tre bambini e sul fatto che Franchi (professore di filosofia in pensione) aveva riscosso, attraverso un money transfer, 800 euro inviati da un parente residente all’estero al capofamiglia ospitato (che non poteva provvedervi direttamente in quanto privo di documenti).
In quest’ultima vicenda, in particolare, colpisce l’intensità con cui la procura di Trieste, che svolse le iniziali indagini, condusse i primi accertamenti: Nello Scavo nella sua cronaca su queste pagine ci ha ricordato che agli indagati furono sequestrati documenti, telefoni, computer. Fermiamoci un attimo su questo punto e pensiamo a come sia invasivo il sequestro del contenuto del proprio computer personale. Si tratta di un mezzo di ricerca della prova assolutamente legittimo in mano al pm, ma il suo utilizzo o non utilizzo ci dice anche quanta discrezionalità di fatto ci possa essere nei modi in cui si esercita l’azione penale.
Questo nuovo orientamento dei magistrati è singolarmente ma clamorosamente contraddetto dalla condanna, del tribunale di Locri, contro Mimmo Lucano (decisione su cui bisognerà tornare dopo il deposito della motivazione della sentenza, ma che già ora, al di là delle responsabilità penali riconosciute, lascia perplessi per la gravità della pena inflitta in conseguenza della non concessione delle attenuanti generiche e del mancato riconoscimento della continuazione tra i reati per cui vi è stata condanna).
Ma, tornando alle decisioni di Agrigento e Bologna, qual è la novità rispetto allo 'spirito del tempo' che animava due anni fa in Sicilia e ancora all’inizio del 2021 a Trieste l’avvio delle indagini? Non ci si dica che è fisiologico che una ipotesi d’accusa, a seguito di un’accurata indagine, possa essere confermata o smentita. Per affermare i princìpi stabiliti nelle decisioni dei giudici non c’era bisogno di alcuna indagine. Se qualcuno mi accusa di aver rubato il Duomo di Milano non sono necessarie indagini di due anni per stabilire che l’accusa è infondata.
È cambiato il modo di vedere le cose. Siamo diventati tutti più buoni, anzi 'buonisti'? Non è questo il punto. Pare piuttosto che si stia affermando un nuovo orientamento, culturale prima ancora che giurisprudenziale, che prende atto di una semplice verità: non si può leggere ogni risvolto della storia inforcando sempre e solo gli occhiali del codice penale. È il rischio del 'panpenalismo', che è sempre esistito ma è aumentato enormemente negli ultimi decenni, come sempre accade quando la politica lascia incolti i terreni che le sono propri. È un rischio che invade tutti i campi: dalla valutazione delle condotte dei pubblici amministratori a certi concorsi esterni a reati associativi, all’estensione a volte spasmodica della contestazione di reati colposi soprattutto se dovuti a omissioni. Ma se c’è un campo in cui l’errore del 'panpenalismo' dimostra la sua dura iniquità è proprio quello del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina contestato ai volontari che soccorrono i naufraghi delle rotte migratorie di mare e di terra.
Soccorrere persone che soffrono e rischiano di morire non significa essere complici dei mercanti di esseri umani: perché ciò che muove i soccorritori non è l’intenzione di assicurare guadagni ai trafficanti (anche se oggettivamente ciò può verificarsi) bensì la volontà di salvare vite umane. Lo dice il buon senso. Lo dice il codice penale, secondo cui il reato si compone di un elemento oggettivo (la condotta) e di un elemento soggettivo (l’intenzione di violare la legge, il dolo). E che comunque (articolo 54) giustifica comportamenti dettati dallo stato di necessità. Lo ribadisce, saggiamente, sin dal 1998, il comma 2 dell’articolo 12 della Legge 'Turco Napolitano' (D.L.vo n. 286/98): «Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato». Sono i vecchi ferri del mestiere del giurista, che ogni tanto bisognerebbe lucidare, per non dimenticarli.
Quel qualcosa di nuovo che oggi vediamo nel sole è in realtà qualcosa di antico. Si chiama umanità.