Il caso dell’amministratore di un partito disciolto (la Margherita) che ha confessato di aver distolto ingenti capitali, quale che sia l’esito giudiziario di una vicenda che presenta aspetti confusi e tuttora oscuri, impone una riflessione severa sulla situazione dei partiti, la cui evidente crisi di rappresentatività e di funzione ha raggiunto ormai limiti inaccettabili. Secondo la Costituzione «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Siccome a ogni diritto corrisponde un dovere, al diritto dei cittadini corrisponde l’obbligo per i partiti di organizzarsi secondo il «metodo democratico», il che implica anche l’esigenza di finanziasi in modo trasparente e controllabile.Quanto le due questioni siano connesse appare evidente, perché un’effettiva dialettica democratica rende difficile una raccolta e un uso improprio delle risorse e una gestione corretta delle risorse impedisce che blocchi di potere interni, controllando le risorse, diventino irremovibili paralizzando la democrazia. L’autoriforma dei partiti è da tempo un’esigenza avvertita dall’opinione pubblica e dall’elettorato, che votando a maggioranza per l’abolizione del finanziamento pubblici aveva dato un segnale inequivoco. Invece, la proibizione è stata aggirata con l’introduzione dei cosiddetti rimborsi elettorali, mentre la vita dei partiti ha preso ad avvitarsi sempre più in una logica di centralizzazione e secessionismo. Alla fine la stessa funzione specifica dei partiti – assicurare l’indirizzo politico del Paese (dal governo) e l’alternativa (dall’opposizione) – è entrata pesantemente in crisi. Sino a venire sostanzialmente meno. Così, dopo quella che è stata chiamata sarcasticamente la "partitocrazia senza partiti" si è arrivati al "governo fuori dai partiti", vista la paralisi cui era giunta la maggioranza di centrodestra e l’incapacità delle due diverse opposizioni di fornire una soluzione di ricambio.Chi crede – e noi siamo tra questi – che i partiti restino, comunque, una risorsa indispensabile per una democrazia, che negare una qualche forma di sostegno pubblico all’attività politica la riserverebbe a ceti abbienti o a poteri non elettivi, non può rassegnarsi al loro declino inesorabile. Naturalmente spetta ai partiti stessi intervenire imponendo e imponendosi, per legge, norme serie e severe. Servono regole minime ma stringenti, che senza pretendere di interferire sulle scelte proprie di ogni forza politica della forma-partito che intendono realizzare, garantiscano il diritto del cittadino a concorrere alla formazione della volontà politica in condizioni di parità.Qualche partito ha già annunciato proposte, qualcuno dice che vanno addirittura approvate in una settimana. Non si pretende tanto: si rifletta e si cerchi il massimo consenso parlamentare, ma si arrivi in tempi decenti a una soluzione decente, nell’interesse stesso dei partiti e di una dialettica democratica degna di questo nome. Altrimenti il solco già grande che separa la politica e i suoi strumenti dal comune sentire si allargherà fino a diventare davvero irrimediabile. Il che, complice una situazione economica e sociale assai critica, rischierebbe di aprire il passo ad avventure di ogni genere.