Ansa
Il sondaggio d’opinione di Greenpeace pubblicato ieri in anteprima da 'Avvenire' fotografa un sentiment nazionale che le forze politiche dovrebbero considerare con attenzione. I cittadini dei quattro principali Paesi produttori di sistemi militari nell’Unione Europea – Francia, Germania, Italia e Spagna – contestano fortemente le politiche di esportazione di armamenti dei loro governi. Il punto più critico per due italiani su tre è la considerazione che il Governo non tenga sufficientemente conto dei princìpi morali ed etici quando autorizza l’export militare.
Non solo: tre intervistati su quattro ritengono che l’Italia non dovrebbe partecipare a progetti europei per nuovi sistemi militari se le armi prodotte in ambito comunitario dovessero poi essere vendute a Stati dittatoriali, che conducono guerre o che violano i diritti umani. Non sembrano essere dello stesso parere diversi 'think tank' e opinionisti del settore della difesa, che stanno facendo fronte comune con alcuni parlamentari ed esponenti militari nel chiedere di rivedere le norme in vigore allo scopo di facilitare le esportazioni di armamenti e la «competitività » della nostra industria militare. Il casus belli è la revoca decisa dal governo Conte di sei licenze di 'bombe e missili' destinate ad Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Licenze che, ai sensi delle Legge 185 del 1990, non avrebbero nemmeno dovuto essere rilasciate in quanto emesse quando era già stato documentato, anche da organismi delle Nazioni Unite, come proprio le bombe italiane fossero state utilizzate nei raid aerei sauditi su abitati civili. Operazioni bollate nei Rapporto Onu come «possibili crimini di guerra».
Affermazioni gravi e preoccupanti anche per il nostro Paese: il diritto internazionale prevede specifiche condanne a chi fornisce armamenti a chi viola le convenzioni internazionali e il diritto umanitario. Senza dimenticare che il Trattato Att sul Commercio di armi, ratificato all’unanimità dal Parlamento, prevede lo stop anche in caso di semplice 'rischio' di violazioni. Sono concetti cui dovrebbe porre attenzione soprattutto chi, come il Ministero della Difesa, ha il compito di valutare la conformità normativa delle tipologie di armamenti inviate all’estero. Colpisce perciò che il capo di stato maggiore, generale Vecciarelli, nell’ambito della Relazione governativa sulla Legge 185/90 appena inviata al Parlamento abbia voluto rimarcare «come le recenti restrizioni imposte alle esportazioni verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, avendo suscitato perplessità presso le Autorità locali, possano configurare un potenziale rischio di natura economica per tutto il volume dell’export nazionale generalista verso i citati Paesi». È singolare che la Difesa, che ha come compito il rispetto delle norme preposte alla salvaguardia della nostra sicurezza, intervenga per evidenziare ipotetici «rischi di natura economica».
SI potrebbero citare cinque solenni risoluzioni votate ad ampia maggioranza dal Parlamento europeo. Ci limitiamo a ricordare la recente sentenza del Tar del Lazio che ha rigettato il ricorso della Rwm Italia contro la revoca delle licenze, ribadendo che «risultano ampiamente circostanziati e seri i rischi che gli ordigni oggetto delle autorizzazioni rilasciate da Uama (Autorità Nazionale per le esportazioni, ndr) possano colpire la popolazione civile yemenita, in contrasto con i chiari princìpi della disciplina nazionale e internazionale ». Giudizi simili a quelli del gip di Roma che ha stabilito la continuazione dell’indagine penale sulle licenze concesse a guerra iniziata, evidenziando che nessuna altra preoccupazione «può giustificare una consapevole, deliberata violazione di norme che vietano l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di gravi crimini di guerra e contro popolazioni civili». La 185/90, voluta oltre trenta anni fa dalla società civile laica e cattolica, garantisce già le nostre aziende militari permettendo di esportare armamenti secondo le norme internazionali. È una legge che va applicata rigorosamente e non certo stravolta per presunte necessità dell’industria di «penetrare i mercati esteri». Oggi sappiamo che la maggioranza dei cittadini lo pretende.
Beretta è analista di Opal Brescia e Rete italiana Pace e Disarmo
Vignarca è coordinatore Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo