martedì 17 dicembre 2024
Alla presentazione di un libro sulla vita del sanguinario camorrista, le dichiarazioni choc della moglie Immacolata Iacone
L'Ex capo della nuova camorra Raffaele Cutolo siede nell'aula bunker del carcere di Poggioreale

L'Ex capo della nuova camorra Raffaele Cutolo siede nell'aula bunker del carcere di Poggioreale - .

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«Ha dato anche tanto amore. Non era solo una cosa brutta. Mi ha dato tanto. Mi ha insegnato tanto. Per voi mio marito era Cutolo, per me era Raffaele. Non voglio innalzarlo come Cutolo ma come uomo. Ha dato dei valori a me e a nostra figlia», dice Immacolata Iacone, vedova di uno dei più sanguinari e vigliacchi boss della camorra, morto nel febbraio del 2021, alla presentazione del libro “I diari segreti di Cutolo” di Simone Di Meo e GianLuigi Esposito.

Non ci stiamo.

Da Raffaele Cutolo, Napoli, la Campania, l’Italia, l’umanità hanno ricevuto solo male. Un male che continua a contagiare tanti ingenui anche dopo la sua morte. La sua ombra minacciosa – per tanti affascinante - ci ha accompagnati fin dalla prima giovinezza. Abbiamo vissuto nella paura i migliori anni della nostra vita. Portiamo incise nell’animo ferite laceranti mai lenite. Abbiamo pianto tanti amici che da lui e dalla sua orribile “filosofia” si lasciarono incantare, ammaliare, ammanettare, distruggere. Lo osannarono. Gli credettero. Per lui divennero spietati, uccisero e vennero uccisi. Tanti altri amici e parenti li abbiamo dovuto salutare alla stazione ferroviaria, in partenza per città lontane e sconosciute. Andarono via. Scapparono. Si arresero. Restare per loro era impossibile. In tanti stringemmo i denti, resistemmo. Fu coraggio, o, forse, solo incoscienza? Non lo so. So solo che rimanemmo nei nostri paesi martoriati in attesa di tempi migliori. Con quel “pazzo” e i suoi scagnozzi non si poteva discutere. Per un nonnulla ti ammazzava. Un criminale malato, pericoloso, disturbato, cattivo.

Da lui abbiamo ricevuto solo male, tanto, tanto male. Un male che continua a serpeggiare. Lo tocchiamo con mano. Lo respiriamo. Oggi come ieri. Si, perché le radici perverse non muoiono insieme all’albero che secca. Continuano a succhiare linfa dal terreno, pronte a ridare vita a nuovi germogli nel tempo opportuno. Guai ad abbassare la guardia. Tra le tante, tantissime condanne a morte emanate da Cutolo, ci fu quella, vigliacca, del vicedirettore del carcere di Poggioreale, Giuseppe Salvia. Lo fece trucidare senza pietà sulla tangenziale di Napoli il 14 aprile del 1981. A casa ad aspettarlo per il pranzo, c’erano Pina, sua moglie, e i suoi adorati piccoli, Antonino e Claudio. Aveva solo 38 anni, Salvia. Si era permesso – pensate – di farlo perquisire dopo un colloquio, cosa che nessuno, a cominciare dal direttore, osava fare. Salvia pretendeva di osservare la legge? E chi era? Come si permetteva? Già, perché in quegli anni, a Poggioreale, comandava lui, Cutolo.

Sul rapporto sentimentale tra la signora Iacone e suo marito, a nessuno è permesso di mettere il naso. Sono cose loro. I sentimenti della vedova del boss meritano rispetto e noi siamo i primi a rispettarli. Debbono, però, rimanere nella sfera privata. E noi lo pretendiamo. Invece.

La signora ha detto, tra l’altro, che Cutolo ha dato anche tanto amore. Affermazione, per noi, falsa e pericolosa. Il delirio di onnipotenza, da cui era affetto O’ Professore, non è sceso nella fossa con lui. Continua a illudere tanti camorristi, o aspiranti tali, che lo hanno eletto a idolo da imitare. Anche il male, quelle poche volte che trova il coraggio di guardarsi allo specchio, potrebbe provare ribrezzo di se stesso. Per questo motivo ha bisogno di ammantarsi di una parvenza di bene. Per un camorrista che angaria un popolo, dar da mangiare a qualche famiglia povera, che andrà poi a spifferarlo in giro, è necessario. Se potesse, se solo gliene dessimo la possibilità, un mafioso milionario e sanguinario, si farebbe carico di provvedere alle esigenze di un intero orfanotrofio. Solo per aver pagato le spese del funerale a un defunto povero della mia parrocchia, il vecchio boss, nel giro di poche ore, fu acclamato come un benefattore. Rimasi allibito. Inganno micidiale.

Trappola velenosissima.

Cutolo – come Riina – non si è mai pentito. Non ha dato nessun contributo alla società. Non ha mai chiesto perdono. Ha creduto di fare il duro fino alla fine. Negli anni del suo potere ha seminato disoccupazione, fame, depressione, sofferenza, terrore, morte. Scenda su di lui il velo cristiano della pietà. E la preghiera a Dio di poterlo perdonare nel Giorno del Giudizio. Non entro nel merito del libro. Non l’ho ancora letto, forse lo farò. Credo fermamente, però, che non sia il caso di invitare la vedova di Cutolo a intervenire alle varie presentazioni.

La storia, per quanto possibile, deve nutrirsi di verità. Con severità. E la verità è che da questa persona criminale, tutti, ma proprio tutti, abbiamo ricevuto solo tanto male. La signora lo sa bene. Ciò non le toglie il diritto – davanti al quale ci inchiniamo - di conservare nel cuore i ricordi più belli della loro unione. Sono cose loro. Private. Argomenti di cui parlarne, con pudore, in famiglia, a bassa voce. In giro ci sono ancora migliaia di persone segnate per sempre dalla vita scellerata di un uomo di Ottaviano, chiamato Raffaele Cutolo. A cominciare da Pina, Antonino e Claudio Salvia.

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