Del fatto che le scuole debbano riaprire a settembre, i primi a essere convinti sono gli insegnanti. E da insegnante da sempre iscritto a un sindacato – la Cisl –, ho provato un un certo stupore nel sentire la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina denunciare nei sindacati, dunque nella rappresentanza ufficiale degli insegnanti, una volontà di «sabotaggio» della riapertura. Mi sembra, anzi, che sia proprio il contrario: come testimoniava, su queste stesse colonne il 20 agosto, l’appassionato intervento di Annamaria Furlan, che della Cisl è segretaria generale, al sindacato sta a cuore una vera, efficace ripartenza. Che sin dall’inizio della pandemia il corpo docente abbia mostrato senso di responsabilità e, direi, generosità è sotto gli occhi di tutti.
La didattica a distanza nei mesi del lockdown non era un 'obbligo di servizio' (non essendo prevista da alcuna norma contrattuale), ma quasi nessuno si è sottratto. Più che un ragionamento burocratico (qualcuno potrebbe dire 'sindacale') sui diritti e sui doveri, è prevalso il senso civico, la volontà di non interrompere un servizio pubblico essenziale come l’istruzione, nella consapevolezza della sua importanza sul piano sociale, educativo, psicologico per i ragazzi. Anche gli insegnanti meno esperti nelle nuove tecnologie si sono attrezzati molto in fretta, mettendosi alla prova in un’esperienza inedita. E, entrando virtualmente per la prima volta nelle case dei loro alunni, sono stati visti all’opera dai genitori, nonni e parenti di questi ultimi. Così le famiglie hanno potuto apprezzare da vicino, come non era mai capitato prima, il lavoro degli insegnanti.
Tuttavia credo che in pochi ritengano davvero che la didattica a distanza possa essere la nuova frontiera dell’insegnamento. Abbiamo provato tutti la mancanza del contatto diretto e di quanto di insostituibile in esso c’è. Per questo è importante tornare fisicamente a scuola. Ma come? I sindacati mettono in luce una questione che non può essere elusa: la sicurezza. Non solo quella – mi si passi il termine – della 'utenza' (cioè degli studenti), ma anche quella del 'personale' (chi a scuola lavora: docenti, collaboratori scolastici, amministrativi).
L’avvio nei giorni scorsi dei test sierologici per il personale scolastico è un primo, importante punto di partenza. Ma il discorso non può fermarsi qui. Sappiamo che l’età media dei docenti italiani – che si aggira attorno ai 50 anni – è tra le più alte dei Paesi europei. E sappiamo anche che con l’aumentare dell’età aumenta il rischio di un decorso severo della sindrome da Covid-19. Il primo problema è quello degli spazi. Anche ammesso che si riescano a distanziare gli studenti di un metro l’uno dall’altro, in edifici vetusti quali sono la maggior parte dei plessi scolastici italiani manca qualsiasi impianto di ricambio dell’aria. In un’aula in cui non c’è ricambio d’aria (salvo lasciando aperte le finestre, cosa che si può fare però finché le temperature esterne lo consentono), «il distanziamento di un metro non serve a nulla»: così, con efficace chiarezza, il professor Andrea Crisanti, il virologo dell’Università di Padova che in questi mesi abbiamo imparato a conoscere come uno degli esperti più autorevoli.
Perciò, con le finestre chiuse, l’uso della mascherina (che tante polemiche sta suscitando nei partiti d’opposizione) sembra davvero il minimo. Proprio per l’impossibilità di reperire, nonostante gli sforzi, spazi adeguati, in molte scuole verrà proposta una forma di didattica mista: in parte in presenza, in parte a distanza. Ebbene, laddove si dovesse fare lezione a distanza, dovrebbe essere consentito ai docenti di attivare i collegamenti dalle proprie abitazioni, così evitando loro i rischi connessi agli spostamenti con i mezzi pubblici, che anche in virtù della ripresa della scuola saranno più affollati.
Invece alcuni dirigenti premono affinché queste lezioni si svolgano da scuola, con nessuna altra ragione se non quella di mettere in atto una forma di 'controllo a vista' dei dipendenti, che tradisce una concezione vecchia e obsoleta del ruolo dirigenziale. Inoltre, sempre a garanzia della salute del personale, questa forma di smart working andrebbe valorizzata per le cosiddette «attività funzionali all’insegnamento» (collegi docenti, consigli di classe ecc.), attraverso riunioni telematiche che possono agevolmente sostituire quelle in presenza.
È quanto avviene, per impegni analoghi, negli altri comparti della Pubblica Amministrazione e in molte aziende del settore privato: non si comprende perché ciò non possa avvenire per la scuola. Efficienza vuol dire anche fiducia in chi dà anima alla scuola. Che il sindacato si preoccupi di questo tipo di questioni, allo scopo di proteggere la salute dei lavoratori, non sembra affatto scandaloso. È anzi doveroso: è proprio il 'minimo sindacale'.