Parlando della pandemia, papa Francesco ha detto che ci sono anche altre pandemie in atto nel mondo, tre: guerre, fame, non–istruzione. È vero, e fanno danni, vittime e distruzioni. Ma allora perché noi intendiamo sempre e solo la pandemia da coronavirus? Perché è la nostra, è qui, ci riguarda, e stravolge la nostra vita. La nostra pandemia è “nostra”, guerre fame e ignoranza sono pandemie degli altri. La nostra la combattiamo a casa nostra con le leggi e la scienza, le altre le combatteranno gli altri a casa loro.
C’è una gerarchia fra quelle pandemie, c’è una pandemia–madre, che genera o favorisce le altre? Le guerre generano povertà e fame, che a loro volta generano nuove guerre, in un ciclo infinito che si autoriproduce, e la mancanza d’istruzione favorisce l’incomprensione e le ostilità, quindi le guerre. Se si cerca la madre di tutti i problemi sociali che bloccano i Paesi del Terzo Mondo, la madre è la non– istruzione, la non alfabetizzazione, l’incultura, l’ignoranza. È da lì che viene il sottosviluppo. Ai tempi del ‘68 dicevamo che non esistono Paesi sottosviluppati e paesi sviluppati, ma Paesi sottosviluppati e paesi sottosviluppatori. Il sottosviluppo è un nostro prodotto, un nostro interesse. Il non– sviluppo si accompagna sempre alla non–istruzione. Quindi il maggior aiuto che possiamo dare ai Paesi arretrati è l’istruzione.
I missionari che fanno gl’insegnanti sono preziosi nei Paesi del Terzo Mondo, perché le famiglie sanno che vengono a portare quello che il loro Stato non riesce a fornire, la cultura. I terroristi si oppongono al lavoro di questi missionari, perché i giovani non alfabetizzati sono arruolabili, servono alla causa (papa Francesco dice «alla pandemia») della guerra. Combattendo la non–istruzione combatti anche la pandemia delle guerre e della fame. Questo vale nel Terzo Mondo, ma vale anche nel nostro: ho una grande stima per i maestri e i professori che vanno a insegnare nelle carceri, le carceri sono il campo di concentramento dove lo Stato detiene i nemici interni che ha catturato, ma se da nemici vuol trasformarli in amici, da combattenti in pacifici, non deve usare l’isolamento, il divieto d’incontrare i parenti o di vedere i figli, e tanto meno le armi proibite come qualche occulta bastonata, no, deve usare gli insegnanti, gli educatori. Se devono fare i rieducatori, vuol dire che la prima educazione non c’è stata o ha fallito. Proviamo con la seconda.
Gli insegnanti delle carceri sono un pilastro nella lotta contro il crimine. Ne conosco alcuni, anzi alcune, perché sono soprattutto donne, con i loro allievi riescono a fare perfino giornaletti interni, li stampano al computer, dentro ci mettono pensierini, ragionamenti, pentimenti, saluti, poesie. Andrebbero istituzionalizzati, questi insegnanti delle carceri, un carcere dovrebb’essere noto e valutato anche in base agli insegnanti che ha. Fare l’insegnante delle carceri dovrebb’essere (è) una vocazione. Come fare il medico o il missionario. Di fatto, sono medici o missionari al lavoro contro quella che papa Francesco chiama la pandemia della non–istruzione. Sono pochi, questo è il problema. Ma non è colpa loro, è colpa della società. Colpa nostra.