E non chiamatelo più «splendido isolamento»
mercoledì 23 dicembre 2020

«Ogni inglese è un’isola», scrisse all’alba del diciannovesimo secolo nei suoi 'Frammenti' il poeta romantico Novalis. Un secolo più tardi, a conclusione del lungo regno della regina Vittoria, si affermò l’espressione « Splendid Isolation », che già germinava, caduto Napoleone, all’epoca del Congresso di Vienna. In quello splendido isolamento si è in parte formata la specificità britannica moderna, la sua eccentricità, una certa propensione all’azzardo.

Tre caratteristiche che ritroviamo appieno in Boris Johnson. E che ora gli franano addosso, travolgendone l’autorità, lo spessore politico, la credibilità stessa. Erede dello sciagurato referendum del 2016 indetto da David Cameron che ha spaccato in due il Regno Unito (Londra, la Scozia e le grandi città scelsero il remain, la provincia, la campagna e i luoghi remoti premiarono il leave) consegnandolo a una rumorosa e disinformata platea vellicata dal populismo nazionalista di Nigel Farage con la sorda complicità sia della vasta fronda dei tories sia dell’ambiguo Labour Party di Jeremy Corbyn, Johnson ha vittoriosamente cavalcato l’ala del turbine che l’ebbrezza del divorzio dall’Unione Europea prometteva. Una sorta di ordalia britannica nei confronti del continente che mai gli inglesi sono riusciti ad amare. I risultati di oggi non potrebbero essere più desolanti, complice la pandemia e quel nuovo spettro che si aggira in Inghilterra (ma non soltanto lì) sotto forma di coronavirus variant, la mutazione genetica del virus tuttora d’incerta valutabilità.

E non tanto per le code di Tir e mezzi pesanti incolonnati sulle autostrade del Kent e bloccati a Dover e a Calais in attesa del permesso francese di attraversare la Manica, né per l’assalto ai supermercati in previsione della penuria di prodotti di prima necessità e nemmeno per gli altalenanti risultati di Borsa: la risposta del mercato è solo uno degli ingredienti della disfatta di cui Johnson è il primo attore (con la segreta ambizione di esserne comunque l’unico) e tra non molto il premier inglese e Emmanuel Macron si metteranno d’accordo. Sullo sfondo c’è l’estenuante braccio di ferro con l’Europa e il no dealpiù rovinoso che la Gran Bretagna possa immaginare, il panico che corre sotto traccia e perturba i sonni del cittadino britannico, scompigliandone quel self-control da cartolina contrapposto all’emotività dei latini che esiste soltanto nei reciproci luoghi comuni, perché stando al calendario fra otto giorni scadrà il termine entro il quale Londra e l’Europa potrebbero accordarsi alla meno peggio sui termini del divorzio. Un divorzio venduto da Johnson all’opinione pubblica come una sfida epocale e l’inizio di una nuova era, ma che al momento ha tutto l’aspetto di un naufragio annunciato.

E che, comunque lo si concluda, rimane una sconfitta. La forza impersonale e incontrollabile degli eventi – il referendum sulla Brexit, la pandemia, la crisi globale di molti settori dell’industria e dei servizi, lil vertiginoso arricchimento di pochissimi a danno di moltissimi – non nasconde le responsabilità personali di un leader come Johnson che su entrambi i fronti, quello del divorzio dall’Europa accanitamente perseguito e quello della battaglia contro il Covid si è rivelato ondivago, contradditorio e in ultima analisi scellerato. Uno smalto di falso ottimismo spolverato di un populismo del tutto estraneo alla tradizione britannica è riuscito a nascondere la nuda verità dei fatti inducendo buona parte degli inglesi a confidare in questo leader maldestro – se pur audace e dotato di intelligenza, cultura e retaggio famigliare di primissima qualità.

Un leader che oggi è costretto a ripristinare un mortificante lockdown domestico e che al tempo stesso si vede sbarrare le frontiere d’Europa, tragicomica nemesi di quell’orgogliosa solitudine isolana che era stata anima e linfa del referendum. Ma chissà, un uomo dalla cultura classica temprata da Platone, Cicerone e Seneca dovrebbe rammentare le parole che nel 1623 scrisse il poeta John Donne e che oggi più che mai suonano a monito per tutti noi, non solo per gli inglesi: «Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare, l’Europa ne sarebbe diminuita, come se le mancasse un promontorio, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa». Servirà?

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