È ancora tempo di immaginare la pace
martedì 3 settembre 2024

Si ha a volte l’impressione che la grande storia sia un succedersi di conflitti. Di alcuni la memoria è sbiadita; di altri, come la Seconda guerra mondiale, essa rimane ben viva. Più terribile di ogni altro, con più di sessanta milioni di morti e l’uso dell’atomica sulle città giapponesi, quello scontro ha segnato il recente passato e ha suscitato un moto collettivo di repulsione verso l’idea di un confronto armato globale, che nel nostro Paese si è tradotto nell’articolo 11 della nostra Costituzione – «L’Italia ripudia la guerra...» –, nella istituzione dell’Onu, nel processo d’integrazione europea, nello stabilirsi di una coesistenza più o meno pacifica tra potenze e sistemi ideologici ed economici differenti.

Il 1° settembre 1939, data di inizio della guerra, si pone allora come un momento paradigmatico. Di quel che può accadere quando si attraversa il fragile confine tra una difficile convivenza e lo scatenarsi del caos, quando si fa prevalere il rifiuto del compromesso, ovvero la tragica scommessa del tutto o niente.

Eppure, allora qualcuno aveva avvisato i futuri contendenti. Pio XII, nel radiomessaggio del 24 agosto 1939, rivolto agli «uomini della politica e delle armi, gli scrittori, gli oratori della radio e della tribuna, e quanti altri hanno autorità sul pensiero e l’azione dei fratelli, responsabilità delle loro sorti», aveva ricordato che «nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra. Ritornino gli uomini a comprendersi. Riprendano a trattare. Trattando con buona volontà e con rispetto dei reciproci diritti si accorgeranno che ai sinceri e fattivi negoziati non è mai precluso un onorevole successo».

Quell’appello rimase inascoltato. Ma quanto profetico appare alla luce di quel che sarebbe successo, delle decine di milioni di morti di quegli anni, della Shoah, dell’inabissarsi del Vecchio Continente e dell’Asia orientale nel baratro della barbarie e della distruzione.
Ricordare l’inizio dell’ultimo conflitto mondiale non è inutile, dunque. È un monito per l’oggi, è la scelta di non dimettere quella memoria grave, né la tensione unitiva che accompagnò, tra mille battute di arresto, gli anni successivi. Ricordare quel 1° settembre non può nemmeno essere un’operazione banale e interessata, non può essere piegata in maniera “furbetta” e antistorica per giustificare i conflitti dell’oggi. I paragoni nella storia non reggono mai. Tale propaganda finisce per obliterare l’orrore della guerra, e anzi per renderla digeribile alle opinioni pubbliche. Ricordare è un invito a impegnarsi oggi per non ripeterlo domani.

Ed ecco che la voce di Francesco resta inascoltata, così come quella di Pio XII. Ecco che ogni trattativa diventa un appeasement. La memoria storica non può essere distorta secondo le nostre convenienze e i nostri double standard. Essa rimane come un potente avvertimento di quel che di tragico potrebbe accadere.

Chi, quel 1° settembre, avrebbe potuto prevedere gli abissi di disumanità raggiunti nei cinque anni e mezzo successivi? O la distruzione totale di Varsavia, Berlino, Hiroshima? O l’inferno di Auschwitz? Ma tutto può essere perduto con la guerra. E non c’è alcuno statista, per quanto accorto, che può prevedere le cose, o controllarle del tutto, o impedire che un piccolo fuoco diventi un incendio indomabile.

«Chi ha detto che è morto il dottor Stranamore?», si è chiesto a fine luglio su La Stampa Massimo Cacciari. I nuovi Stranamore non hanno i baffetti, non sono cowboy impazziti ma piccoli uomini e piccole donne che giocano con il fuoco, prigionieri delle alleanze militari, del nazionalismo dei popoli che governano, delle stesse dichiarazioni consegnate ai media o ai social.
Cacciari continuava: «Se non avvertiamo la realtà del pericolo non potremo superarlo. Se lo comprendiamo, invece, può crescere la possibilità di salvezza». A questo serve ricordare una pagina tragica della storia del secolo scorso, a riconoscere che il pericolo è ancora dietro l’angolo, che nulla vieta che il presente ripercorra il cammino del passato. «Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo», richiamava Pio XII.

È ancora tempo. È tempo di immaginare la pace, le sue vie, le sue prospettive.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: