Due istantanee di fine 2011. La prima l’ha scattata l’Istat: ci sentiamo più poveri. Molto probabilmente lo siamo davvero. Basta farsi due conti, ed è facile capire che quando l’Istituto centrale di Statistica, numeri alla mano, ci fa sapere che le cose non girano, scopre un po’ l’acqua calda. Lo sapevamo già. L’ultima, preoccupante, sfornata di indicatori ci mostra un’Italia dove un cittadino su quattro 'vive a rischio povertà o di esclusione sociale'. Un Paese preoccupato perché la fine del mese si fa sempre più lontana, e per alcuni diventa un miraggio. Al Sud va peggio che al Nord: neppure questa è una notizia. E, tutto ciò, riferito al 2010. Per i dati 2011 bisognerà aspettare. A naso, non c’è bisogno di chissà quali doti divinatorie per sapere che è andata anche peggio. L’abbiamo capito da un pezzo. L’abbiamo visto nelle strade dello shopping, piene di gente ma con negozi semivuoti. Nelle telefonate che arrivano a casa dai commercianti che conosci, che ti fanno gli auguri e intanto ti dicono 'lo sa che quest’anno anticipiamo i saldi?'. Nella lancetta del serbatoio che s’è scordato che cosa sia un pieno. In quel pensiero non precisamente grato rivolto, di quando in quando, a chi le tasse non le paga, rubando i nostri bilanci e direttamente nelle tasche. Grazie, davvero. È l’Italia dei discount e delle offerte speciali, che fa la spesa inseguendo i sottocosto, sperando di tirare un paio di giorni di più. Ci siamo tutti dentro. E ci chiediamo: è questo il fondo, o...?
La seconda istantanea viene dalle parrocchie, dalle Caritas, dalle diocesi di un’Italia che non fa rumore, ma c’è. Sempre. Difficilmente la troverete nei salotti televisivi, o anche mai, né al centro di storie di copertina. Oggi ne offriamo uno spaccato (alle pagine 10 e 11). Ma, appunto, è solo un pezzo, perché quella che nell’ultimo anno si è verificata attorno ai nostri campanili è una vera e propria mobilitazione generale. Che non ha avuto bisogno di aspettare i dati dell’Istat per capire, per intercettare un disagio che di giorno in giorno si andava facendo più largo, più pesante, e per intervenire.
Non stiamo parlando solo del fondo straordinario per le famiglie attivato dalla Conferenza episcopale italiana dal 2009. Parliamo anche di quella fitta, instancabile rete solidale fatta di cose che possono talvolta sembrare piccole ma che sono essenziali. Dei gemellaggi tra famiglie nel Triveneto per darsi una mano a pagare le bollette, degli elettrodomestici ricuperati nelle discariche e riparati a Pisa, degli aiuti alle micro e piccole imprese in Calabria, delle 'strutture di solidarietà' di Cagliari, e ancora e ancora. E non è tutto. Sappiamo anche questo, in fondo. Perché tutti noi abbiamo visto, probabilmente, quanto nell’ultimo anno si siano allungate le file davanti agli uffici parrocchiali, e intravisto là in mezzo magari anche qualcuno che non ci saremmo mai aspettati.
È la rete di una solidarietà vera, che come Martino taglia il mantello finché ce n’è, e ogni volta riesce a trovarne uno nuovo da dividere. Che riesce a inventare le cose più strane, o inedite, o incredibili, per manifestarsi. Quella solidarietà che c’è sempre stata e che non vedevamo, e che consente a tanti di andare avanti, senza chiedere carte d’identità o di appartenenza. Quella che lasciavamo alle buone signore della San Vincenzo, e che oggi sempre più spesso ci coinvolge, perché bussa direttamente alla nostra porta. Che condividendo le difficoltà quotidiane dell’oggi dà forza e senso alla speranza che domani possa andare meglio. Non sappiamo quando vedremo la luce in fondo al tunnel della crisi che viviamo. Ci vorrà tempo, dicono. Qualcuno aggiunge: molto. Siamo in recessione. Dentro il tunnel. E tocca a tutti noi. Perché finché in mezzo al buio sapremo tenere accesa la fiammella della solidarietà, sappiamo anche di non essere soli.