La decisione del governo di rialzare il contributo giornaliero per i soggetti che accolgono i richiedenti asilo ha suscitato, come era prevedibile, un vespaio di polemiche. Questo tema d’altronde è da anni un cavallo di battaglia del cattivismo antiimmigrati, con le ricorrenti accuse sul 'business dei rifugiati', sui falsi volontari, sulle risorse sottratte agli italiani bisognosi. È bene, perciò, cercare di fare un po’ di chiarezza sull’argomento. È anzitutto sbagliato confondere volontari e professionisti del lavoro sociale. Nei servizi alla persona, compresi quelli gestiti da fondazioni, cooperative sociali e altri soggetti senza scopo di lucro, lavorano regolarmente migliaia di persone che hanno titoli professionali specifici (medici, psicologi, educatori, responsabili amministrativi e tanti altri) e da questo lavoro traggono la remunerazione che spetta a tutti i lavoratori, secondo i contratti. Spesso sono le norme di legge a richiedere l’impiego di figure professionali con determinati diplomi e profili.
Il volontariato si aggiunge a questo corpo di professionisti, non li può sostituire e non va confuso con loro. Il fatto dunque che anche nei servizi di accoglienza per i rifugiati, come sulle navi del soccorso in mare, siano impiegati degli operatori professionali stipendiati è non solo normale, ma risponde all’esigenza di assicurare servizi qualificati, a beneficio delle persone accolte e delle comunità in cui si inseriscono. Guai se così non fosse. Bisognerebbe semmai insistere affinché gli operatori siano sempre meglio formati e qualificati. In secondo luogo, molti servizi alle persone sono oggi gestiti da soggetti esterni alle pubbliche amministrazioni: residenze sanitarie-assistenziali per anziani, comunità di accoglienza per minori, servizi per disabili o persone con disagio psichico. Anche quando si tratta di soggetti senza scopo di lucro, devono tenere i conti in ordine, presentare bilanci in equilibrio, conseguire anche se possibile un certo margine di utile per finanziare investimenti o fronteggiare ritardi nei pagamenti (assai frequenti) e contingenze negative.
Ora, quando si tratta di servizi per anziani o disabili, il loro diritto all’equilibrio economico non è contestato. Quando si tratta di servizi di accoglienza per richiedenti asilo, diventerebbe invece un disvalore, un comportamento riprovevole. Si tenta, insomma e persino con martellante veemenza, una delegittimazione di principio, che purtroppo ha contagiato anche settori dell’opinione pubblica non ostili all’accoglienza: operare nel campo dell’asilo finisce per comportare un alone di sospetto, un pregiudizio sfavorevole sulle motivazioni recondite e le finalità inconfessate dell’attività svolta. Casi di malaffare, di infiltrazioni criminali o di cattiva gestione hanno alimentato una sfiducia diffusa, essendo stati ingigantiti e generalizzati. Come per tutti i servizi alle persone, e soprattutto alle persone in condizioni di fragilità, bisognerebbe invece distinguere gestori competenti e incompetenti, seriamente motivati oppure improvvisati, dotati di risorse professionali adeguate o inadeguate. La rivalutazione della diaria è una conseguenza del fatto che le gare delle Prefetture risultavano deserte, era diventata impossibile la fornitura di servizi che andassero oltre i minimi bisogni materiali, l’accoglienza era stata svilita a livelli inaccettabili. Proprio gli operatori più esigenti e motivati erano usciti o stavano uscendo dal sistema. Accogliere degnamente richiede risorse e competenze professionali. L’attenzione va spostata sulla qualità dell’accoglienza effettivamente dispensata, non sul principio in sé. Altrimenti inseguiremmo la logica per cui l’asilo (e la richiesta di asilo) non è un diritto costituzionale, ma un’attività fastidiosa e derogabile: la stessa logica che induce a gridare 'accoglieteli a casa vostra'.