Gentile e appassionato, capace e lungimirante, sorridente e pensoso. Pensoso non per vezzo, o peggio per una qualche paura, ma perché capace di prendere sul serio persone e cose (incontri e occasioni, cariche e incarichi, sconfitte e successi) senza farsi 'prendere' da esse. Cioè restando libero, in coscienza e responsabilità, pur aderendo a un ideale, pur appartenendo a una storia. È il ritratto del politico di valore, per tantissimi di noi.
Ed è il profilo di David Sassoli, che ho conosciuto bene come cattolico senza complessi e democratico senza esitazioni, che ho apprezzato molto come collega giornalista e che ho stimato sempre di più, anno dopo anno, come parlamentare e come uomo delle Istituzioni europee. Una stima che tutti, oggi, gli tributano con una coralità e un affetto che impressionano e che la commozione per la sua prematura morte spiega solo in parte.
David Sassoli è stato, e resta, uno di quei cronisti con le idee chiare sul nostro mestiere, affidabile e popolare nel senso più genuino di questi concetti inflazionati eppure preziosi. E per di più convinto – come molti di noi – che non possano e non debbano esistere 'porte girevoli' nelle redazioni, che non si possano confondere lettori ed elettori, spettatori e supporter: una volta che si decide di entrare nell’agone politico da protagonisti, schierandosi, e dunque non più da testimoni e interpreti, non è giusto tornare indietro o addirittura mettere in scena andirivieni. Una scelta di chiarezza, per rispetto di sé stessi e dei concittadini.
Un rispetto che Sassoli ha nutrito anche per i propri avversari, pure quando alcuni tra questi lo hanno rispettato assai poco e, nell’attaccarlo, sono addirittura arrivati a definirlo «nemico degli italiani» per le limpide posizioni assunte sempre, e soprattutto da presidente del Parlamento europeo, sulle migrazioni umane, sulla civiltà e la solidarietà mai negoziabili e sul giusto governo dei movimenti di persone sulla faccia della Terra.
Un rispetto guadagnato anche argomentando e tenendo posizioni coerenti e forti, a volte così anticipatrici da risultare solitarie (nei palazzi, non nella società), per indicare e rafforzare i perni della costruzione dell’Europa unita, per reclamare una politica 'libera' sul piano economicosociale non da un assennato rigore ma dal rigorismo mortificante, per individuare priorità umane e necessariamente globali, tenacemente accanto ai più deboli, nella prova pandemica e nel «cambiamento d’epoca» che stiamo vivendo.
La gentilezza, infatti, non è mai rinuncia alla chiarezza e all’incisività. Ed è parte essenziale dei contenuti di una politica davvero buona, degna del suo compito, di nuovo rispettabile e rispettata. David Sassoli lo ha dimostrato, chi oggi lo ricorda se lo ricordi. Noi, con gratitudine, non lo dimentichiamo.