Il Vertice dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) allargato a importanti partner internazionali che si conclude oggi nella capitale Vientiane poteva essere una delle poche possibilità offerte al piccolo e segregato Laos di mostrarsi con dignità e ruolo sulla scena mondiale. Invece questo evento, il principale dell’anno della presidenza di turno laotiana del raggruppamento di 10 Paesi asiatici, rischia di essere un’occasione perduta. Perché, se nell’aula del vertice e soprattutto a margine sono stati affrontati i temi dello sviluppo, della sicurezza regionale e del terrorismo, il governo locale è finito sotto pressione per il suo autoritarismo e per il soffocamento di ogni dissenso. Una situazione che forse non a caso accompagna economia asfittica, sostanziale sottosviluppo e quasi inesistente ruolo internazionale non fosse per l’assedio di ingombranti vicini – Cina e Thailandia – per accedere alle sue risorse naturali.Nella visione perlopiù condivisa dagli osservatori unica eccellenza del regime è la repressione, al punto che l’americana Freedom House colloca il Laos al terzo posto tra i Paesi meno liberi al mondo e Reporters sans frontières tra i più repressivi per i mass media. Una conferma è venuta dalla conferenza che il 31 agosto nella capitale thailandese Bangkok ha associato media internazionali, politici Asean impegnati per i diritti umani e l’organizzazione che mantiene viva l’attenzione sulla sorte del dissidente Sombath Somphone, probabile vittima del regime. La visione unanime è di una situazione in peggioramento che «non riguarda solo individui e attivisti locali ma anche le Ong internazionali. Molti hanno paura di esprimersi e chi lo fa vuole garantito l’anonimato. Diplomatici stranieri e rappresentanti Onu ammettono che la situazione è di emergenza e nessuno ha una soluzione».«Il Codice penale proibisce di organizzare manifestazioni o di parteciparvi 'con l’intenzione di provocare disordine sociale', una delle espressioni vaghe utilizzate in diverse occasioni per giustificare arresti arbitrari di attivisti e di dissidenti politici. Altri che hanno osato esprimere critiche legittime verso il governo sono stati meno fortunati, diventando vittime di sequestri, un terribile crimine di Stato che priva i congiunti della pace». «Anche le minoranze etniche e le minoranze religiose – hanno segnalato ancora i partecipanti all’incontro di Bangkok – si trovano ad affrontare una persecuzione perlopiù ignorata dalla comunità internazionale, mentre mega-progetti, incluse le grandi dighe per la produzione di energia dalle acque del Mekong, vengono attuati senza consultazioni adeguate con le popolazioni locali, costringendo intere comunità ad allontanarsi senza che osino opporsi». Il clima è a tal punto soffocante che i gruppi della società civile organizzati nell’Asean Peoples Forum hanno deciso per la prima volta di non tenere la loro assemblea in concomitanza con un vertice Asean perché non avrebbero potuto garantire la sicurezza dei partecipanti. «Se l’autoritaria leadership laotiana avrà carta bianca, in questo incontro Asean non ci sarà alcuna voce della società civile e nessun dibattito sui diritti umani – avverte il vicedirettore per l’Asia di Human Rights Watch, Phil Robertson –. Dipenderà quindi dai leader mondiali presenti, come Barack Obama (primo presidente Usa a visitare il Paese per attenuare l’ostilità reciproca ereditata dal conflitto indocinese,
ndr), prendere l’iniziativa e affrontare questi tempi sia pubblicamente sia nei colloqui privati. È essenziale che segnalino come ogni cooperazione futura dipenderà da concreti miglioramenti nella situazione dei diritti umani, a partire dalla chiarezza sulla sorte di Sombath Somphone».Sono in molti a ritenere che lo specialista per lo sviluppo delle comunità, premiato nel 2005 con il Ramon Magsaysay Award, il 'Nobel asiatico', sia stato prelevato il 15 dicembre 2012 sulla via di casa da uomini dei servizi di sicurezza governativi, probabilmente per il suo ruolo nell’organizzazione all’interno del Paese del Forum popolare Asia-Europa che aveva preceduto di due mesi la sua scomparsa. Più volte la comunità internazionale ha criticato il governo di Vientiane per non avere accettato di collaborare a risolvere la vicenda di Sombath. Non è bastato neppure l’impegno dell’Unione europea, che a più riprese ha inviato delegazioni per cercare di individuare le ragioni della scomparsa del noto attivista. Il governo laotiano, sollecitato da più parti, all’interno e all’estero, non ha mai aperto indagini ufficiali sul sequestro ma, come ricorda la moglie Shui-Meng, questo non ferma l’impegno affinché la sua sorte venga chiarita e, ancor più, che non abbia a ripetersi.«A più di tre anni dalla sua scomparsa il governo laotiano non ha fornito alcuna risposta su che cosa sia successo a mio marito – dice Shui-Meng –. Il presidente Obama, la Nazioni Unite, l’Asean i suoi partner asiatici dovrebbero spingere le autorità a risolvere con urgenza il caso del suo rapimento e restituirlo sano e salvo alla nostra famiglia. Dovrebbero anche sollecitare il governo a fermare i rapimenti così che la popolazione possa rispettare le autorità e non temerle». Una situazione preoccupante che sembra fare scuola. Anche per questo non va ignorata, come avvertono i parlamentari democratici del Sud-Est asiatico: «Oltreconfine, in Thailandia, un regime militare, che oltre due anni fa ha preso il potere, recentemente ha fatto approvare una nuova costituzione che gli garantirà il controllo sul Paese per un futuro indefinito. In Cambogia va intensificandosi la persecuzione degli oppositori politici e della società civile mentre personalità che si oppongono al regime devono affrontare intimidazioni, arresti e a volte violenze organizzate. Le strade delle Filippine si arrossano del sangue di chi viene assassinato dalla polizia e da gruppi di vigilantes con il pretesto di combattere il traffico di droga. Persino Singapore, spesso segnalata come un esempio di amministrazione chiara ed efficiente, ha approvato da poco una legge sull’oltraggio ai giudici che minaccia la libertà di espressione». Tante ombre che si allungano sulle democrazie limitate del Sud-Est asiatico. Tra le poche luci, la nuova amministrazione che ha fatto compiere al Myanmar passi importanti verso un sistema più aperto e democratico, e Timor Est che, emerso dalle convulsioni post-indipendenza per abbracciare pluralismo e riconciliazione, va verso l’adesione formale all’Asean come 11° Paesemembro.