Caro direttore,
ci risiamo. Non passa settimana che non si tracci un confronto tra questo o quel leader o statista democristiano e qualche esponente dell’attuale nomenclatura politica e di governo. Una operazione alquanto ardita, nonché originale, non solo per la distanza siderale tra quella classe dirigente e questa contemporanea ma anche, e soprattutto, per la differenza quasi antropologica tra il profilo e la natura politica della leadership diffusa democratico cristiana e la dirigenza dei partiti oggi dominanti. È di qualche giorno fa il paragone tra il comportamento del ministro Di Maio e gli statisti Dc. Una riflessione che non solo suona grottesca ma forse anche offensiva nei confronti della lunga e travagliata esperienza della Dc. Mi limito a richiamare tre soli titoli per evidenziare, ancora una volta, l’immensa diversità tra le due classi dirigenti.
Innanzitutto c’era un metodo che caratterizzava il personale politico e di governo della Dc. Un metodo che rispondeva anche a una precisa e definita cultura di governo. E cioè, cultura della mediazione, alto senso dello Stato e delle rispettive istituzioni democratiche, disponibilità permanente al dialogo e al confronto, attenzione a evitare ogni radicalizzazione dello scontro politico e, soprattutto, una chiara prospettiva che accompagnava e condizionava le singole e quotidiane scelte politiche e di governo.
In secondo luogo la cultura politica. Ma come è possibile continuare a confondere le classi dirigenti come se i giudizi politici fossero banalmente e qualunquisticamente intercambiabili? Ogni classe dirigente è frutto non solo di una particolare stagione storica e politica, ma è anche il riflesso, appunto, di una altrettanto definita cultura politica. Come si può confondere il magistero dei "cavalli di razza" della Dc e di molti statisti che hanno contribuito, attraverso la loro attività, a scrivere le pagine migliori dell’Italia democratica e repubblicana con quello di partiti e di esponenti politici che hanno rinnegato sistematicamente quella pagina storica?
Non si tratta di santificare o nobilitare anzitempo una intera classe dirigente che, come ovvio, è stata attraversata da luci e ombre. Ma, molto semplicemente, non si può ridurre tutta l’erba a un fascio confondendo chi teorizza l’"anno zero" nella politica italiana con chi, al contrario, è stato portavoce e interprete di una solida, storica e radicata cultura politica, quella del cattolicesimo politico, sociale e democratico. Lo dico per rispetto della Dc, dei suoi uomini e delle sue donne, ma anche per i teorici e i figli del "vaffa day" di grillina memoria.
In ultimo, e senza più ripetertelo ulteriormente, pesa il contesto. Ma che cosa c’entra la storia della Dc con quella dei partiti attuali? In particolare con quei partiti usciti vincitori dalle elezioni politiche del marzo 2018? Se è vero, com’è vero, che la Dc, per citare un autorevole e qualificato esponente di quel partito, Guido Bodrato, è stata un "fatto storico" e pertanto irripetibile perché contestualizzato, è del tutto arbitrario continuare a balbettare parallelismi e similitudini con ciò che accade oggi nella cittadella politica italiana. E ciò vale sia per coloro che hanno militato in quel partito e sia, a maggior ragione, per chi ha contribuito negli anni a demolirlo politicamente, culturalmente e storiograficamente. Anche se oggi cresce una strana e singolare nostalgia di quella esperienza politica e soprattutto della valenza e della qualità di chi l’ha realizzata.
Ecco perché i confronti sono del tutto fuori luogo e fuori tempo. Non c’è alcuna cultura politica comune; non c’è una cultura di governo comune; non c’è una prospettiva politica comune e, in ultimo luogo, ma non meno importante, non c’è neanche uno stile comune nel contesto dato. In sostanza non c’è nulla di politicamente rilevante in comune se non l’occupazione, pro tempore, dei medesimi ruoli. Un po’ poco.
già parlamentare della Repubblica