Il potere della gentilezza nel progresso delle cure mediche
sabato 7 settembre 2024

Non ce ne accorgiamo ma anche in Sanità (come si usa dire quando si parla di conoscenza e ricerca scientifica) viviamo sulle “spalle dei giganti”. Ovvero siamo generazioni infintamente più fortunate di quelle che ci hanno preceduto perché sfruttiamo la piramide delle conoscenze accumulate grazie all’impegno e al sudore “generativo” delle scoperte di chi ci ha preceduto. Dal tipo apparentemente più semplice di materiale sanitario, alle prassi consolidate per un intervento chirurgico o la cura di una malattia sfruttiamo la sintesi di esperienze, errori e correzioni delle generazioni passate con strumenti impensabili una cinquantina di anni fa.

Per questo l’effetto combinato socialmente più rilevante del progresso scientifico ed economico è proprio l’aumento dell’aspettativa media di vita della popolazione (in Italia dai 28 anni medi dell’anno dell’Unità, il 1860 agli 85,2 anni per donna e 81,1 per uomo di oggi). È proprio qui che arriva il difficile, perché la combinazione di progresso tecnologico impetuoso (che accelererà ulteriormente con l’intelligenza artificiale), arrivo di nuove scoperte e invecchiamento della popolazione trasforma molte malattie da mortali in croniche. E aumenta gli anni di vita non in buona salute creando dunque una domanda sanitaria potenzialmente infinita.

Dobbiamo pertanto chiederci se il nostro sistema stia valorizzando al massimo i fattori che gli consentono i risultati migliori in termini di capacità di cura e di raggiungimento di una platea più estesa possibile in una logica di eguaglianza di accesso alle cure; oppure se, in caso di risposta negativa, si tratti solo di un problema di scarsità di risorse economiche.

Nella misura in cui le nuove cure diventano accessibili ed entrano nella spesa del Sistema Sanitario Nazionale, questi due fattori tendono ad essere garantiti, almeno per le persone in condizioni di acuzie (i gravi). Gran parte della letteratura e dell’impegno della disciplina scientifica in materia si concentra su questa questione.

Se le risorse economiche a disposizione sono urgentemente da aumentare, come testimonia anche lo stress del personale medico e paramedico, meno attenzione si pone invece ad un terzo fattore essenziale per il successo della cura: quello relazionale. Come l’economia civile e le scienze sociali insegnano, i pilastri per la nostra soddisfazione di vita sono essenzialmente tre: ricchezza di senso del vivere, qualità della vita di relazioni, opportunità di una vita generativa. Lo choc di salute che porta una persona in ospedale colpisce su tutti e tre i fronti. Ci si domanda perché proprio noi (senso), si passa da un ambiente relazionalmente caldo (familiari e colleghi che ci conoscono e riconoscono) a uno dove siamo essenzialmente un numero ed un letto in corsia. La perdita di vitalità e di energie legata allo choc di salute riduce infine la nostra generatività.

La gentilezza e competenza relazionale del personale medico e paramedico è in questo tratto del percorso di vita essenziale. E incide sulle possibilità di ripresa.

Possiamo poi considerare come all’interno di un ospedale (o anche di una qualunque terapia anche al di fuori di esso) si svolge un gioco di fiducia che assomiglia molto al classico gioco sequenziale dell’investimento della Teoria dei giochi. Il medico, infatti, fa la prima mossa di proporre una terapia e il paziente può decidere se e quanto collaborare. Perché l’esito sia favorevole non basta che la terapia sia quella giusta, ma è necessaria anche la collaborazione del paziente. La letteratura scientifica in materia riconosce che l’intelligenza relazionale del personale sanitario gioca un ruolo cruciale nel favorire il buon esito di quella che viene comunemente chiamata “alleanza terapeutica”.

Empatia e intelligenza relazionale sono altresì decisive per il buon funzionamento della squadra ospedaliera (i giochi di fiducia sono questa volta tra colleghi) e per ridurre il rischio di denunce in caso di esiti negativi perché, nella circostanza in cui non ci siano responsabilità del medico, quest’ultimo ha maggiore probabilità di essere creduto dal paziente e dai suoi familiari. Il sentiero verso la guarigione non è definibile a priori, ma la qualità relazionale del dottore o del personale paramedico sta nell’essere a disposizione per aiutare il paziente a decidere nel maggior numero di nodi o contingenze possibili.

Le implicazioni per la politica sanitaria sono evidenti. Sappiamo purtroppo che bisognerà lottare per mantenere elevati gli standard sanitari e di quanto le risorse a disposizione siano limitate. Esiste in ogni caso un fattore di successo della sanità, quello relazionale, essenzialmente a costo zero, in grado di apportare miglioramenti significativi al risultato finale. Un caso studio interessante in tal senso è quello legato alla campagna Act with kindness lanciata nel 2020 dall’Ente Ospedaliero Cantonale di Locarno. Gentilezza, empatia, intelligenza relazionale possono essere collegate a doti innate ma sono assolutamente coltivabili e allenabili. E potrebbero anche concorrere ai famosi criteri di selezione per l’accesso alle carriere mediche.

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