Periferie e ponti sono centrali nella geografia di Francesco
sabato 14 settembre 2024

Di solito, quando si ritorna da un viaggio, si mostrano a famigliari e amici le foto scattate per fissarne i momenti salienti. Quali sono dunque le immagini simbolo del 45esimo viaggio apostolico di papa Francesco, il più lungo del suo pontificato? C’è solo l’imbarazzo della scelta, ma se ne può individuare almeno una per ogni tappa. L’abbraccio interreligioso con l’imam di Giacarta in Indonesia. L’incontro con la comunità di Vanimo, in Papua Nuova Guinea, punto più estremo dell’itinerario, al limite della foresta pluviale e della cosiddetta civiltà. La messa di Dili, con 600mila fedeli da tutta Timor Est (e diversi anche dall’Ovest indonesiano), sulla stessa spianata dove celebrò San Giovanni Paolo 35 anni fa e dove furono occultati in fosse comuni i caduti per la libertà. Infine, anche la messa di Singapore nell’avveniristico National Stadium, punto ideale di saldatura tra la tradizione della fede e il futuro.

Momenti apparentemente eterogenei, come lo skyline di Singapore e le fronde degli alberi della foresta, eppure, a ben guardare, legati da un filo rosso comune. Il fulcro di questo viaggio è stato, infatti, in ognuna delle tappe, il rapporto – e talvolta la dialettica – tra centro e periferie. Con le periferie (geografiche, religiose, sociali ed economiche) che in coerenza con il magistero bergogliano sono diventate centro e viceversa. Il Papa lo ha detto chiaramente a Port Moresby, parlando di un Paese (Papua Nuova Guinea) «così lontano da Roma, eppure così vicino al cuore della Chiesa». La geografia di Dio è diversa da quella degli uomini e il Pontefice l’ha declinata incontro dopo incontro, mostrando che cosa debba centrale in un mondo di “fratelli tutti”.

Centrale come il dialogo tra le religioni (e con l’Islam in particolare) simboleggiato dalla dichiarazione congiunta firmata a Giacarta, per dire no alla logica della violenza (specie quella in nome di Dio) e collaborare per la salvaguardia del creato. Centrale come il volto composito di società multietniche (caratteristica di almeno tre delle quattro tappe del viaggio) dove si parlano fino a 800 lingue e va preservata l’unità nella diversità. Centrale come l’impegno per la riconciliazione, autentico balsamo da spargere sulle ferite più o meno recenti di occupazioni militari, scontri tribali e violenze varie. Centrale, infine, come il compito di non dimenticare i poveri, periferie esistenziali anche in un centro economico e finanziario imponente come Singapore. Ponti sempre al posto dei muri.

Ma il rapporto centro-periferia è emerso anche grazie all’attenzione riservata dal Papa alle comunità ecclesiali di tutti i Paesi visitati. Francesco, prima con la decisione di intraprendere un viaggio così lungo e faticoso alla soglia degli 88 anni, poi con le parole e i gesti, ha fatto intendere di considerare centrali anche Chiese di solito ritenute periferiche nel mondo cattolico. Non è un caso che tre dei quattro Paesi visitati (Papua, Timor Est e Singapore) abbiano avuto per la prima volta un cardinale grazie alle scelte di geopolitica ecclesiastica di papa Bergoglio. E non importa se siano esigue minoranze come in Indonesia e Singapore o la pressoché totalità della popolazione come a Timor Est.

Agli occhi di Francesco, queste comunità hanno una centralità che egli ha di fatto additato a tutta la Chiesa. Quella di testimoniare l’amore di Dio con scuole, ospedali e altre operare caritative che ne fanno punti di riferimento nelle società in cui operano. E quella di diffondere fino agli estremi confini della Terra il “profumo del Vangelo”, che è più forte dei miasmi dell’odio razziale, dell’estremismo religioso, dell’inquinamento e anche dello sfruttamento e delle colonizzazioni culturali ed economiche che mordono (l’immagine del coccodrillo), aumentando di fatto le disparità e cancellando la storia dei popoli. Nel vocabolario del Papa tutto questo si chiama evangelizzazione, trasmissione della fede autentica, cosa ben diversa dal proselitismo, che bada solo ai numeri. Ed è proprio su questo piano che viene in mente una quinta foto simbolo del viaggio. Forse il suo suggello. Il sorriso dei tanti giovani di Timor Est che ha sorpreso lo stesso Francesco. Un sorriso che ispira fiducia nel futuro. Ma che chiede di rimettere al centro dell’attenzione globale un presente più fraterno e solidale.

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