«Durante la guerra gli italiani stavano peggio di adesso, eppure mettevano al mondo molti più bambini». Questa affermazione è usata spesso per spiegare che il numero di figli in una famiglia è dovuto più a ragioni culturali che materiali. E in gran parte questo è vero. Negli anni del secondo conflitto mondiale il numero medio di figli per donna in Italia è sempre stato superiore a 2,5, mentre oggi è a 1,3. I fattori storici, sociali, culturali, o anche spirituali, sono importanti nel determinante la dimensione delle famiglie. Tuttavia oggi le condizioni sono molto cambiate. Crescere un figlio richiede molte più risorse, non lo si può vestire di stracci o nutrire con una scodella di polenta al giorno, oppure mandarlo a mungere invece che a scuola. L’idea romantica di un’epoca fondata sull’amore autentico deve poi fare i conti col fatto che i figli in passato erano anche braccia per il lavoro e un’assicurazione sul futuro dei genitori.
È per questo che con lo sviluppo, l’avvento della società moderna e l’emergere di un mondo più complesso, gli Stati hanno incominciato a porsi il problema di aiutare le famiglie a mantenere i figli. Se si osserva il contesto europeo dei sostegni, due cose emergono con evidenza: l’Italia è uno dei Paesi col tasso di fecondità più basso e al contempo è tra quelli che destinano meno risorse per 'Famiglia e figli'. A questa voce, secondo gli ultimi dati Eurostat, è andato il 3,2% della spesa pubblica italiana del 2017, contro il 3,6 della media Ue. La Germania ha speso il 3,7, la Francia il 4,2, la Svezia il 5, la Danimarca l’8,6. La Spagna ha fatto peggio con l’1,7. L’Italia è invece ai primi posti quanto a uscite per la previdenza: alle pensioni è stato destinato il 32,8% della spesa pubblica, contro il 26,4 della Francia, il 25,5 della Germania, il 21,4 della Svezia, il 16,1 della Danimarca. Le due voci non sono in contrapposizione, e non è giusto alimentare un conflitto generazionale, il problema è che una spesa così sbilanciata tra natalità e previdenza, col tempo finisce per avere un effetto sulla composizione demografica del Paese.
Ma in che modo gli Stati impiegano le loro risorse a favore delle coppie con figli? E in che cosa l’Italia può recuperare terreno? Una politica per la famiglia si caratterizza in genere per tre tipi di sostegni: le erogazioni monetarie, come i bonus o gli assegni familiari; le agevolazione di carattere fiscale, ad esempio le detrazioni per i figli a carico; i servizi ai genitori o i benefit 'in natura', come gli asili nido e i congedi parentali. Nei Paesi del Nord Europa si tende a puntare soprattutto su erogazioni monetarie e servizi. In Svezia, ad esempio, oltre agli as- segni familiari universali molti servizi per i bambini sono di fatto gratuiti, mensa scolastica compresa, e i genitori possono beneficiare di congedi pagati per ben 480 giorni. Chi guarda con simpatia a questo modello deve però considerare che il prelievo fiscale nei Paesi scandinavi è molto alto e l’evasione e il sommerso ridotti ai minimi: un sistema agli antipodi rispetto all’esperienza italiana (e all’orientamento degli elettori). Nel resto del Continente, dalla Francia alla Germania alla Spagna, si tende ad avere un mix più equilibrato tra 'cash', sconti fiscali e servizi. L’Italia segue questo modello, distinguendosi tuttavia per un livello di spesa non elevato, pur se cresciuto negli ultimi anni. La caratteristica della spesa sociale per i figli più bassa della media è un dato comune tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come la Spagna, la Grecia e il Portogallo, dove anche i tassi di fecondità sono non a caso inferiori. L’impressione è che dove la famiglia ha goduto di una carica valoriale molto forte, i governi non hanno avuto la preoccupazione di rafforzarla anche economicamente. Sbagliando. Ma come può migliorare il modello italiano di sostegni? Se l’idea è di mantenere una proporzione equilibrata tra assegni, fisco e servizi, il primo passo è sicuramente un aumento deciso delle risorse complessive. E la prima leva sulla quale si può intervenire è quella dei benefit monetari.
Un’altra differenza marcata rispetto ai Paesi guida nelle politiche per i figli, infatti, riguarda il sistema degli Assegni per il nucleo familiare. Se nel resto delle voci la spesa italiana è semplicemente più bassa, sul fronte degli assegni la differenza è sostanziale. Gli assegni in Italia sono pagati ai soli lavoratori dipendenti: non per discriminazione verso gli altri, ma perché le risorse (circa 6 miliardi) sono attinte da un fondo alimentato dai contributi dei lavoratori. Altrove, invece, gli assegni sono fissi e riconosciuti sulla base del numero dei figli a tutti i genitori residenti, che siano dipendenti, autonomi, disoccupati, incapienti, pensionati, stranieri...
Osservando gli assegni familiari negli altri Paesi si nota poi che sono erogati a tutti con il medesimo importo e quasi mai con limiti di reddito (e quando il limite c’è è molto elevato). L’assegno infatti non è considerato una forma di contrasto alla povertà, verso la quale si interviene in altri modi, ma un intervento a beneficio dell’investimento sui figli, considerati un bene pubblico. In Francia spettano circa 130 euro al mese con il secondo figlio, in Germania circa 200 euro al mese per ogni figlio, in Gran Bretagna 100 euro il primo figlio e 60 i successivi, in Svezia 100 euro a figlio più bonus alle famiglie numerose, in Olanda pure 100 euro a figlio... La caratteristica degli assegni italiani, invece, è che si parte da 137 euro per il primo figlio, un importo non basso nel confronto internazionale, ma dai 14.000 euro lordi di reddito familiare il benefit decresce rapidamente fino a diventare irrilevante presto: con 30mila euro di reddito familiare lordo, cioè due stipendi da circa 1.000 euro al mese, due figli si 'meritano' circa 50 euro a testa al mese.
Le minori risorse che il nostro Paese destina ai figli producono alcune distorsioni: nelle famiglie con redditi bassi l’aumento del numero dei figli spinge le famiglie verso le soglie di povertà assoluta o relativa; nei nuclei con redditi più alti, invece, rispetto agli altri Paesi l’aumento del numero dei figli impatta in modo molto più netto sul reddito disponibile. L’Italia, si può dire, è un Paese che disincentiva la natalità. Per questo è venuto il momento di intervenire. Introdurre un assegno unico per tutti può essere il primo passo significativo di una politica più ampia a favore delle famiglie e delle giovani coppie, così da non lasciare che le difficoltà economiche soffochino il desiderio di essere genitori. L’Italia è un Paese in emergenza demografica, la natalità dovrebbe essere al primo posto nelle agende di ogni partito, la politica non può più continuare a chiudere gli occhi.