Caro direttore,
in queste settimane credo sia comune il sospetto che non si sia appreso granché da quanto successo sinora. Mentre la pandemia di Covid- 19 non è ancora archiviata, in tutto il Paese e nel dibattito pubblico si nota una sorta di sospensione in attesa di miracolosi interventi e soprattutto di fondi europei che ancora discutiamo se e come investire.
Sommessamente vorrei far notare che, per chi come noi quotidianamente vede e lavora con il dolore e la sofferenza delle persone, è chiaro che l’immobilismo nulla può fare se non acuire rabbia, frustrazione e diseguaglianze.
Serve una vera visione che non può essere quella dei bonus a pioggia visti sinora né tantomeno l’ennesima delega assistenziale alle famiglie già provate. In questi mesi post-lockdown abbiamo visto molto bene sia i danni che gli effetti della mancanza di politiche sociali efficaci, di servizi precari e mal organizzati, di strutture chiuse e famiglie portate al limite.
Come sempre ne hanno fatto le spese i più deboli: i bambini senza tutele e senza socialità, gli anziani rinchiusi in casa o nelle Rsa, le donne che si sono trovate – in mancanza di aiuti veri e non solo economici – a dover gestire lavoro e welfare rischiando seriamente di perdere il primo. Questi sono soltanto i primi effetti, ma non stentiamo a credere che molto altro emergerà nei prossimi mesi, senza voler pensare a eventuali nuove misure restrittive.
Se si fosse imparato qualcosa, ma magari siamo noi palesemente ciechi, si sarebbero dovuti aumentare la forza e l’organizzazione dei servizi del territorio – cosa peraltro fatta solo sul versante sanitario in senso stretto – prevedendo ad esempio sufficienti ore di assistenza domiciliare o aumentando la possibilità di accedere all’educativa per i ragazzi che hanno perso mesi di lezioni o ancora aprendo nuovi centri per le persone con disabilità. Si sarebbero dovuti già avere i piani di emergenza per la continuità dei servizi sociali e assistenziali come previsto dalla legge, ma ad oggi ancora non pervenuti.
Se si fosse imparato qualcosa, già oggi si inizierebbe a parlare di come rimettere in ordine il Reddito di cittadinanza e non si penserebbe solo a prorogare i bonus per questa o quella categoria spendendo risorse indispensabili, ma senza la certezza che finiscano a chi ne ha veramente bisogno. Invece, siamo ancora qui a pensare che basti concedere delle semplici elargizioni per tamponare il disagio dilagante senza aver ancora compreso che le politiche sociali sono vitali tanto quanto quelle sanitarie e che le une senza le altre non sono che un pannicello caldo, un prendere tempo continuando a sperare che 'tutto vada bene'.
Invece no, mi spiace. È ora di avere una visione vera dei diritti delle persone che parta dai più indifesi ed esposti! È ora di affrontare, ad esempio, il tema della tutela dei bambini e dei loro diritti e della loro sicurezza, non possiamo avere ancora oggi ospedali, procure o servizi impossibilitati a intervenire per mancanza di tempo e personale. Non possiamo ancora assistere alle tragedie di questa estate senza aver mosso un dito per impedirle e aspettando che finiscano nel dimenticatoio alla prima partita di campionato.
Bisogna riformare gli interventi a favore di anziani e persone non autosufficienti, consapevoli che l’attuale sistema scarica sulle famiglie – sempre le donne – il carico di cura dando qualche mancetta. Per questo servono servizi, servono professionisti e dirigenti capaci, servono risorse che non vediamo, servono delle regole chiare per difendere chi ha patito, patisce e ancora aspetta una prospettiva.
Smettiamola di dar pubblicità a chi parla di poveri dalla consolle di una discoteca e facciamo un giro negli uffici dei servizi per capire che a oggi, ancora, non abbiamo imparato granché. Prima di stupirci o cercare il colpevole da additare al prossimo dramma della solitudine, della malattia, della violenza, dell’indifferenza, della burocrazia, dell’abbandono... dello sguardo rivolto altrove.
Presidente Consiglio dell’Ordine degli Assistenti sociali