Il Papa ha parlato ieri di una madre. Di Rachele, la donna che nella Genesi muore partorendo Beniamino, ma che il profeta Geremia rappresenta poi, piangente matriarca, nel luogo dell’esilio ebraico («Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata, perché non sono più»).
Una madre che piange i suoi figli deportati e come morti, dunque. Rachele, ha detto Francesco in udienza generale, racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo. Dolore umanamente inconsolabile: una madre «non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata». Deve averne incontrate tante, il Papa, di queste madri incenerite.
Dalle madri dei desaparecidos, senza nemmeno una tomba su cui piangere, alle tante conosciute nel suo ministero di sacerdote e di vescovo. Deve averlo toccato con le mani questo dolore, il Papa, perché parla come lo avesse sperimentato. E quante donne, in ogni tempo, hanno subìto e subiscono lo strazio di perdere un figlio. Questa menomazione: perdere chi è nato nelle tue viscere, e che ancora il cuore, ostinato, ricorda quasi come una parte di sé. Si fa fatica ad avvicinarsi a queste madri.
Non se ne ha quasi paura? Non ci sono parole. E il Papa infatti indica quanta delicatezza un tale avvicinarsi esige: per asciugare queste lacrime di donna «bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio» (qui Francesco ha portato l’indice sulle labbra, come quando si esorta: 'zitti'). Ma, ha aggiunto, esiste eppure una speranza nel pianto. Non quella, povera, nostra, quell’inutile esortare a consolarsi, o ad aspettare un altro figlio – che non sarà, mai, quello perduto. Esiste un’altra speranza. Geremia: «Essi torneranno dal paese nemico.
C’è una speranza per la tua discendenza – oracolo del Signore: i tuoi figli ritorneranno nella loro terra». Le lacrime di Rachele, ha detto il Papa, hanno generato speranza. E ha aggiunto: «Questo è difficile da capire». Lacrime misteriose, quelle delle madri. Dal fondo del dolore, sono feconde. E come? Il Papa risponde come fa con quanti gli chiedono il perché del dolore dei bambini: «Io non so cosa rispondere. Soltanto dico: 'Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta'. Ma risposte di qua – e ha indicato la testa – non ci sono».
Risposte puramente razionali non ci sono. Eppure quelle lacrime possono generare. Maria, sotto la Croce, è diventata madre di un intero popolo. Sono, quelle delle madri, misteriose lacrime, cui stare davanti in silenzio – quel dito del Papa sulle labbra, a dire: 'zitti'. Quel suo indicare la testa, scrollandola poi piano – come a dire no, fin qui la ragione non arriva. Qui arriva solo la fede in Cristo, e il cuore.