Il Campionato è fermo (non la Coppa Italia), ed è meglio non dimenticare i cori razzisti sentiti durante Inter-Napoli del 26 dicembre 2018 all’indirizzo del giocatore partenopeo, di origine senegalese e di nazionalità francese Koulibaly. Il peso dell’accaduto non può essere sottaciuto o messo da parte, anche perché uno sport di massa come il calcio, dall’altissimo impatto mediatico, ha anche un valore educativo che genera sentimenti, emozioni, valori, atteggiamenti e stili di vita. Dunque, prima di tutto, dobbiamo continuare a chiederci perché se una norma forte e motivata esiste, non viene applicata? Perché il responsabile dell’ordine pubblico dello stadio non ha ordinato la sospensione della gara così come previsto dal regolamento della Fgic?
La questione è politica. All’indomani della gara il difensore napoletano, espulso per errori frutto del nervosismo legato all’accaduto, ha scritto sul suo profilo Twitter. «Mi dispiace per la sconfitta e soprattutto per aver lasciato i miei fratelli! Però sono orgoglioso del colore della mia pelle, di essere francese, di essere senegalese, napoletano: uomo». Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, in un’intervista ha risposto: «Chiedo scusa a Kalidou Koulibaly, a nome mio e della Milano sana che vuol testimoniare che si può sentirsi fratelli nonostante i tempi difficili in cui viviamo. La prossima volta che sentirò dei 'buu' razzisti me ne andrò dallo stadio».
E il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, ha chiuso il cerchio parlando, senza mezzi termini, di «razzismo di Stato». Il rischio di strumentalizzazioni è sempre possibile, ma non può frenare riflessione e indignazione. Lo sport se non educa smette di essere tale. E le istituzioni sportive, come tutte le istituzioni, sono deputate a ogni livello alla formazione di cittadini responsabili e rispettosi della dignità umana. Koulibaly è integralmente uomo e le sue parole non sono una nota autodescrittiva, ma una denuncia e una richiesta di riconoscimento.
L’umanità non dipende da colori e provenienze, e non è limitata da barriere culturali e geografiche. Non sembri troppo citare il messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace 2019. Dice Francesco: «Viviamo in questi tempi in un clima di sfiducia che si radica nella paura dell’altro o dell’estraneo, nell’ansia di perdere i propri vantaggi, e si manifesta purtroppo anche a livello politico, attraverso atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha tanto bisogno». La fraternità non può essere solo sentimento del singolo o di una categoria, ma deve essere impegno istituzionale, specie in un momento storico in cui i concetti di umanità e fraternità sembrano smarriti, in cui la divaricazione economico-sociale tra Nord e Sud è al limite dell’esasperazione e in cui il dibattito politico sembra costruito non più con l’obiettivo di accorciare le distanze, ma sullo spauracchio dell’ 'altro' ridotto a oggetto di sospetto, paura e odio. E non retorico ritrovarsi a sperare che i troppi giovani che lasciano il Meridione per le cause strutturali e socio-economiche che tutti conosciamo non incontrino ululati e resistenze dai propri connazionali.
Non si può fare a meno di chiedercelo: Inter-Napoli può tristemente e drammaticamente parafrasare un’emergenza culturale e sociale radicata in un sistema Paese completamente diviso e non più in grado di accogliere, integrare e progettare? La parabola sportiva ci aiuta, come nel gioco di squadra, a coltivare la fiducia di cui il Papa parla ancora nel Messaggio citato, una fiducia dinamica: «io mi fido di te e credo in te». Insegna a lavorare insieme per il Bene comune. Lo sport è, infatti, il modello più interculturale che possa esistere. Se sottratto alle logiche della finanza e del profitto (anche politico) è un vero luogo di impegno civile per il dialogo e la promozione di valori autentici. Viviamolo e custodiamolo così. E con Pino Daniele torniamo a cantare: «Viva viva ’o Senegàl»!
Sociologo, Facoltà teologica di Napoli