Dario ha una destrezza nell’unire i luoghi delle chiese cristiane che non viene solo dai molti anni trascorsi alla guida di un taxi. La ragnatela descritta nel traffico delirante di Teheran, e le storie che la sottendono, sembrano sgorgare dall’istinto profondo dell’essere minoranza. Le costruzioni sfilano ora aperte sul tessuto urbano, come la cattedrale armena di S. Sarkis, ora dimesse, dietro un muro, come la chiesa domenicana di S. Abramo.
«Questa è piazza Imam Khomeini, ma tutti ancora la chiamano Sepah, come a tempi dello Shah. I cattolici, a differenza di altre chiese cristiane o di altre minoranze, come quella Bahá’í, vivono in libertà. Certo, prima della rivoluzione, anche sotto la dittatura, era diverso», dice Dario, che in questi giorni ospita la figlia trentenne, volata negli Stati Uniti dopo un rapido matrimonio civile con un iraniano sciita, in Turchia. «I rapporti fra la Santa Sede e il governo iraniano sono eccellenti. Lo dimostra la visita di Rohani a Roma, primo segnale di un’apertura progressiva», spiega Leo Boccardi, nominato nunzio apostolico in Iran nel 2013, proprio quando la corrente riformista del 'Movimento Verde', nata dopo le discusse elezioni del 2009, riemergeva, temperata, portando Rohani alla carica di primo ministro. «Le relazioni diplomatiche vanno intensificandosi, così il dialogo interreligioso, ben rappresentato dal gemellaggio esistente fra la Pontificia Università Lateranense e l’Università di Qom, secolare centro di studio sciita dove io stesso ho recentemente tenuto una lectio sui rapporti fra stato e chiesa.
I moderati nel governo iraniano sanno che il contatto con la modernità è inevitabile». Una dialettica di cui l’universo cittadino iraniano sembra offrire manifestazioni differenti, dalle notti brave della gioventù dorata a «un profondo desiderio del trascendente che non sia intrecciato alle dinamiche politiche», afferma Boccardi dopo aver citato il discorso di Paolo ad Atene. Una ricerca identitaria che guarda al postmoderno quanto alle radici preislamiche del Paese, coincidendo spesso con i ceti che hanno i mezzi per aggirare i limiti imposti dal governo, e l’opposizione silenziosa. Le conversioni, proibite, sono numerose, nell’ordine del milione. Molti sciiti bussano alle porte cristiane. Ma la costituzione, e ancor di più la prassi governativa, sono chiare: la libertà è riconosciuta a cristiani, ebrei e zoroastriani, che godono complessivamente di cinque seggi nell’assemblea parlamentare, il Majlis.
Il proselitismo è proibito e le conversioni punite con la pena di morte, sebbene le punizioni capitali siano cessate da tempo. «Quanti secoli sono stati necessari in Europa perché si conquistasse la totale libertà di confessione? Qui non siamo soggetti a nessuna restrizione. Certo, è necessario tenere a mente che siamo ospiti della Repubblica Islamica» afferma Boccardi. «Molti si lamentano dell’impossibilità di costruire nuove chiese. Ma per chi?», si chiede in nunzio, che raccoglie una comunità di appena duemila individui, sopravvissuti o eredi delle famiglie commercianti europee attive ai tempi dei Reza Pahlavi.
«E sistono – aggiunge – molti preconcetti nei confronti dell’Iran. Sia sufficiente guardare all’implementazione degli accordi sul nucleare, che Teheran segue con diligenza. I patti devono essere rispettati». Il giudizio sulla libertà religiosa nella repubblica khomeinista varia con la tradizione politica e diplomatica. Nel 2014 un gruppo di deputati britannici ha promosso la stesura di un report, non approvato dalle camere, intitolato 'La persecuzione dei cristiani in Iran'. Discriminazioni, arresti, torture ed espropriazioni vengono descritte attraverso l’esperienza, anonima, di numerosi convertiti.
«Le promesse non mantenute» di Rohani, che in campagna elettorale aveva dato ampio spazio alle proposte liberali, sono al centro delle accuse. Nella strategia del primo ministro, educato in Gran Bretagna ma organicamente legato all’establishment religioso, il miglioramento della condizione economica derivata dall’accordo sul nucleare concederà nella seconda parte del mandato lo spazio per smussare gli eccessi creati dal populismo reazionario del suo predecessore Ahmadinejad. Molti osservatori, anche interni al mondo cristiano, sottolineano come la repressione di molte chiese inclini al proselitismo sia avvenuta su indicazione degli stessi rappresentanti cristiani (due armeni e un assiro) nel parlamento. Le piccole comunità, che nelle svariate stime demografiche non superano mai, sommate, i 300.000 individui, sono guidate da un’antica solidarietà etnica che oggi si manifesta nella rigorosa fedeltà al governo, garante di interessi sociali ed economici.
«I miglioramenti esistono. I pastori non vengono più rapiti o uccisi, non abbiamo più i servizi segreti che ci controllano e le pratiche burocratiche sono diventate meno umilianti», racconta Mosis, 'manager' della Chiesa Evangelica Coreana che nega, dopo qualche istante di esitazione, ogni rapporto con le 'chiese casalinghe', i centri clandestini di preghiera e studio per i convertiti, severamente soppressi dalla polizia. Mosis, cristiano armeno di Isfahan, ha riabbracciato la chiesa dopo un lungo periodo di sbandamento. Fondamentale nella sua rinascita l’intervento del padre protestante Henry, lo stesso capace di trovargli un impiego nella chiesa coreana.
Ora coordina i lavori di ristrutturazione dal vasto edificio, confinante con l’altrettanto appartata e silenziosa chiesa protestante americana di St. Peter, in Qavam street. «Riceviamo i fondi unicamente dai nostri fedeli. Sì, alcuni sono abbienti», concede Mosis riferendosi alla piccola comunità di 60-70 persone. Fuori dal cerchio dei diritti costituzionali e delle radicate attitudini etniche, i cristiani soffrono l’emarginazione nei posti di lavoro, nelle università e nel grande edificio delle cariche istituzionali. Il principio discriminatorio, suggerisce tuttavia il nunzio Boccardi, non ha nulla a che vedere con il dogma religioso, ma è piuttosto legato alla preponderanza numerica sciita, un’egemonia culturale ed economica che affonda nei secoli.
Le 'church houses' descritte nel rapporto voluto dai parlamentari britannici rappresentano spesso il primo passo per una fuga dalle costrizioni economiche e sociali. Ricevono finanziamenti da ONG anglicane, protestanti ed ebraiche, accendendo nel governo di Teheran l’antico incubo della sovversione occidentale, realizzata con successo nel 1953 con il colpo di stato che cancellò il progetto liberale di Mossadeq. Il battesimo è talvolta il primo passo per ricevere la green card in America o il permesso di soggiorno in Germania. «Quando passo davanti alle chiese mi segno rapidamente se non c’è nessuno intorno», racconta Ciro, 30 anni, toccato dal cristianesimo durante gli anni di studio in Europa, dove vorrebbe tornare una volta attraversato il labirinto della burocrazia. «Voglio avere un legame con dio che non abbia a che fare con il potere, coltivare una dimensione spirituale pura. Quella che dovrebbe essere un’intima libertà inalienabile è proibita», racconta seduto in una panchina nell’ordinato e rigoglioso nord della capitale, abbassando il tono della voce ogni volta che una coppia di militari o poliziotti, costanti nel paesaggio della metropoli, gli sfila davanti. «Non ho il coraggio di unirmi alle chiese clandestine. Ho visitato quelle ufficiali: 'Ti rimane il battesimo del cuore', mi ha detto il sacerdote. Cioè la fede vissuta in silenzio».